Di Mouin Rabbani. Jadaliyya (25/05/2015). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.
Dei ventidue membri della Lega Araba, non meno di nove sono stati nominati consulenti speciali, coordinatori speciali, inviati speciali o rappresentanti speciali del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il loro compito, in generale, è promuovere la risoluzione dei conflitti. Nessuno vi è riuscito, e dove la pace è stata raggiunta, il loro contributo è stato piuttosto marginale. Siccome la regione ed i suoi abitanti assistono a un numero di morti e distruzione senza precedenti, la comunità internazionale deve trovare il modo di rendere tali nomine efficaci, oppure le deve ridurre in modo significativo. Ovviamente le ragioni della loro inefficacia sono complesse, e risiedono tanto all’esterno quanto all’interno delle Nazioni Unite. Tuttavia, l’ONU dovrebbe concentrarsi sulle proprie responsabilità.
Consideriamo, ad esempio, la missione in Siria. Quando l’ex inviato, Lakhdar Brahimi, si è dimesso nel maggio 2014, le aspettative che le Nazioni Unite potessero risolvere o attenuare il conflitto erano pari a zero. In quel contesto sarebbe stato più opportuno lasciare la posizione vacante per sottolineare il vuoto diplomatico che si era venuto a creare. Nel timore di essere viste come abbandonare la Siria, le Nazioni Unite sono diventate parte del problema. Invece, il nuovo inviato, Staffan de Mistura, ha perpetuato l’illusione di una mediazione importante sostenendo un processo riconosciuto da molti come “nato morto”.
L’alternativa più sensata sarebbe stata quella di rifiutare di nominare un inviato finché questi non avesse avuto un vero e proprio ruolo da ricoprire. Non solo questo corso d’azione non avrebbe avuto ripercussioni negative sulle valide operazioni umanitarie dell’agenzia internazionale, ma avrebbe anche costretto tutti a pensare a una soluzione credibile per affrontare quel conflitto catastrofico.
Una ragione per cui spesso gli inviati delle Nazioni Unite sono paralizzati è la polarizzazione all’interno del Consiglio di Sicurezza che tendenzialmente finisce per influenzare il Segretariato delle Nazioni Unite, incapace di agire indipendentemente. L’esperienza dimostra che quando gli inviati delle Nazioni Unite rappresentano l’agenda degli Stati membri chiave, piuttosto che della comunità internazionale nel suo insieme, gli interessi dei popoli della regione tendono a venire per ultimi. Un altro aspetto da considerare è la qualità delle nomine. Alcune sono davvero eccezionali, in altre, invece, a trionfare sono mediocrità e carrierismo.
L’ufficio dell’inviato delle Nazioni Unite per la Siria è solo un caso estremo di un problema ben più ampio. Altrove nella regione, le Nazioni Unite hanno appena nominato un nuovo coordinatore per un processo di pace in Medio Oriente che nemmeno esiste più, e più ridicolmente mantiene un secondo inviato per il Libano, con sede a New York, incaricato sia di sovrintendere la partenza delle forze straniere che hanno lasciato il Paese una decina di anni fa, sia di disarmare un movimento di guerriglia che potrebbe essere neutralizzato solo da una massiccia invasione straniera.
Le Nazioni Unite hanno un ruolo prezioso e verosimilmente indispensabile da svolgere nella risoluzione dei conflitti della regione e nel servire i diritti e gli interessi di quei popoli. Eppure le prove a disposizione suggeriscono che la nomina di inviati speciali contribuisce poco a questo mandato lodevole.
Attualmente è in corso una revisione delle operazioni di pace, securitarie e politiche delle Nazioni Unite sotto la guida di José Ramos-Horta. A meno che quest’ultime non siano riconfigurate per renderle realmente efficaci, dovrebbero essere riconsiderate e, se necessario, abbandonate.
Mouin Rabbani è un analista danese-palestinese esperto di conflitti arabo-israeliani e affari palestinesi.
Jadaliyya è una e-zine indipendente prodotta dall’ASI (Arab Studies Institute). Si tratta di una rete di scrittori legati all’Arab Studies Journal che cerca di far luce, in modo critico, sugli avvenimenti che riguardano il mondo arabo, cercando di combinare le conoscenze accademiche con uno sguardo interno e partecipativo.
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