Di Ashraf al-Tarbiq. Hespress (15/06/2017), Traduzione e sintesi di Flaminia Munafò.
Quando i venti della Primavera Araba si sono trasformati in rivoluzioni popolari contro i regimi di corruzione e tirannia che hanno dominato nella regione per lunghi decenni, molti giovani e leader di proteste credevano che il cambiamento sarebbe avvenuto velocemente e che la bandiere della democrazia avrebbero sventolato nelle piazze delle città arabe. Le speranze dei popoli esprimevano il desiderio di una nuova conquista che avrebbe messo fine alle restrizioni della schiavitù che aveva sostituito le sofferenze della colonizzazione: per il mondo arabo l’aspettativa era quella di un’apertura democratica simile a quella avvenuta negli altri continenti, dall’America Latina all’Europa dell’Est.
Dopo pochi anni però, segnali di retrocessione hanno cominciato ad apparire velocemente, e i fedeli seguaci dei precedenti regimi che i popoli credevano aver superato sono tornati gradualmente sulla scena politica insieme all’abolizione dei diritti che i cittadini avevano ottenuto dopo la Primavera. Il Marocco non è uscito dal contesto degli altri Paesi arabi, tuttavia dopo le marce del 20 febbraio 2011, che in alcune città hanno preso la forma di sommosse senza precedenti, specialmente ad Al-Hoceima, Larache e Guelmim, suonava una musica differente: il motivo di questi eventi, avvenuti insieme alla nascita di un movimento giovanile pacifico e influenzato dagli slogan della Primavera Araba, cosiddetto “Hirak”, non si è ancora capito.
La risposta è arrivata velocemente il 9 marzo 2011 con un discorso del re che rispondeva a molte richieste del Movimento 20 Febbraio, sebbene non lo citasse letteralmente, e che proponeva una riforma costituzionale per integrare una serie di diritti, giurisdizioni e istituzioni volti a cambiare la natura del sistema di governo, limitandone il potere assoluto; i marocchini hanno votato per la costituzione il 1 luglio 2011 e il 25 novembre si è arrivati alle elezioni anticipate in cui il partito Giustizia e Sviluppo ha vinto formando una maggioranza guidata da Benkiran e applicando letteralmente l’articolo 47 della nuova Costituzione: in questo modo il regime si è potuto adattare alle rivendicazioni della Primavera Araba e ha potuto resistere ai suoi colpi attraverso riforme che cambiavano la forma del sistema senza però andare ad intaccarne l’essenza, con la possibilità di ritornare facilmente al punto iniziale una volta scomparse le nubi del 20 febbraio in Marocco.
Col passare del tempo, le maschere delle promesse fatte sono cadute e si è capito che l’obiettivo era costruire un recinto di ferro abbastanza forte da attutire i colpi e attribuire tutta la responsabilità degli errori al governo Benkiran: i marocchini si sono così trovati di fronte ad uno scenario politico ambiguo, dove i segretari dei partiti sono burattini che non hanno influenza sui risultati delle elezioni, e in questo modo la parentesi della Primavera Araba è andata gradualmente dissolvendosi col pretesto di preservare la sicurezza e la stabilità. Ciò nonostante, il vulcano di Al-Hoceima è improvvisamente eruttato con la morte di Mohsin Fikri: la miccia del “Hirak” ha preso fuoco contro le finte riforme e l’emarginazione che il regime aveva saputo vendere bene e il Rif si è alzato in piedi con un movimento giovanile di rivendicazione sociale che sventola la bandiera amazigh e che pronuncia il motto provocatorio di Abdelkarim al-Khattabi, simbolo della regione: “Siete un governo o una banda criminale?”
Poco più di 5 anni sono stati sufficienti per ricordare a tutti noi la necessità di valutare le riforme della costituzione e per domandarci quale sia la natura della trasformazione avvenuta in Marocco: tale compito richiede il contributo di specialisti ed esperti per poter decifrare il fenomeno marocchino attraverso un confronto con le esperienze precedenti nella storia dei paesi vicini, è però evidente che è in atto una trasformazione profonda che riguarda tutta la società marocchina e che richiede una riflessione basata su nuovi strumenti e metodi che il sistema attuale non possiede e per cui non è preparato, visto che ha continuato a dipendere da un’ élite politica che aveva perso credibilità e da collaboratori opportunisti ed impulsivi tutt’altro che riflessivi.
Mentre questo “Hirak” continua ad essere incandescente, la goffaggine di riforme insignificanti persiste insieme alla menzogna della “riforma nel quadro della stabilità”.
Ashraf al-Tarbiq è il presidente del centro Hespress per la Ricerca e l’Informazione.
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