Di Faris Alkhattab, Al Arabi al Jadid (11/07/2017). Traduzione e sintesi di Federica Pretto.
Le forze militari e l’ufficio del Primo Ministro iracheno hanno annunciato la liberazione di Mosul. Sulla città vigeva il controllo assoluto dello Stato Islamico dal giugno 2014.
Mosul libera, dopo una guerra crudele durata nove mesi. La triste verità, però, è che i figli di Mosul associano a questa vittoria militare un’immagine di sangue. Ai loro occhi, non è il Presidente ad essere stato vittima di Daesh, ma questa millenaria città, la sua gente, il suo patrimonio culturale. Una vittoria che è costata migliaia di morti fra i cittadini, non a causa dei colpi senza pietà dello Stato Islamico, ma dell’inferno scatenato dagli aerei della coalizione internazionale, dall’artiglieria dell’esercito iracheno e delle milizie sciite di Hachd al-Chaab. Nessuna distinzione è stata fatta tra obiettivi terroristici e abitazioni di cittadini, riunitisi per sostenersi a vicenda nei momenti di paura.
Mosul libera. Ma ora cosa succederà? Come comportarsi con le decine di clan arabi che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico e che probabilmente hanno combattuto con lui? Che fare delle donne, dei bambini e degli anziani appartenenti a questi clan? I combattenti di Daesh verranno uccisi o si permetterà loro di dileguarsi?
Mosul libera. I Curdi, tuttavia, si sono ritagliati una zona che considerano parte del loro desiderato stato indipendente, rispetto al quale si terrà un referendum il prossimo settembre. La stessa cosa hanno fatto e faranno i signori della guerra di Hachd al-Chaabi, che costituiscono la punta di lancia dei guardiani della rivoluzione in Iran. Paese, quest’ultimo, che veglia su Mosul da centinaia di anni.
Chi tratterà con questi attori locali, che possono contare sull’appoggio di grandi potenze internazionali e regionali, scavalcando lo stato centrale, indebolito e vulnerabile, particolarmente in questa regione?
Mosul libera. Le regole del gioco in Iraq cambieranno e gli Stati Uniti riacquisteranno un ruolo predominante. E invece di essere affrontati con operazioni jihadiste dagli uomini della resistenza irachena, com’era stato dal 2003 fino al 2011, verranno questa volta presi a modello dalle stesse forze che li avevano combattuti. E i rappresentanti degli interessi regionali e delle varie divisioni confessionali inizieranno ad inseguire ossequiosi i generali e i capi americani nelle conferenze sulla questione irachena che si terranno in questa o quell’altra capitale. Cosa che renderà Washington padrone negli affari dell’alta amministrazione politica del Paese. Allo stesso tempo, ciò potrebbe lasciare ad altre forze, come l’Iran, la possibilità di proseguire nella regione coi propri programmi di cambiamenti demografici e confessionali.
Mosul libera. Ma ad un prezzo molto alto. La città è stata praticamente rasa al suolo. I suoi abitanti, se non emigrati, sono stati eliminati, tanto che alcuni l’hanno chiamata la “Nagasaki Mosul”: forse per le immagini e le migliaia di corpi che ancora giacciono sotto le rovine delle case; forse per il modo in cui questa distruzione si è abbattuta su di essa, rendendo impossibile ogni tentativo di immaginare la Mosul di un tempo.
Sul piano geopolitico, la liberazione della città comporterà un riavvicinamento strategico fra la Russia e gli Stati Uniti per impedire l’espansione della sfera di influenza iraniana sulla regione.
Gli Iracheni devono essere consapevoli di questo: Washington, specialmente con l’attuale presidente Trump, vede l’Iraq come una riserva di gas e petrolio, mentre gli Iraniani lo considerano una parte fondamentale del loro “Impero”.
I primi a gioire della vittoria sono dunque Teheran e Washignton, mentre il popolo di Mosul non può gioire senza avvertire allo stesso tempo un sapore di sconfitta.
Faris Alkhattab è uno scrittore iracheno di base a Londra.