Di H. A. Hellyer. The National.ae (03/03/2016). Traduzione e sintesi di Alessandro Mannara.
Nel 2016, molte aree del mondo arabo versano in uno stato di caos. L’instabilità che si percepisce è causata da disordini politici esistenti in egual misura negli Stati più forti e in quelli più deboli. Eppure vi è una confusione di fondo che ha meno a che vedere con la politica e più a che fare con il campo dell’istruzione: si tratta di un’arena a cui pochi prestano attenzione, ma ciò non toglie che sia di enorme importanza.
La modernità viene spesso vista come qualcosa di positivo dal momento che apporta un progresso scientifico, maggiore alfabetizzazione, sviluppi in campo medico e altri benefici. Tuttavia esiste anche un aspetto negativo approfondito da molti filosofi nel corso degli ultimi due secoli: lo squilibrio nel settore dell’istruzione.
Tale squilibrio esiste sia nel mondo arabo che in Occidente. In quest’ultimo, almeno, gli studi umanistici sono spesso elogiati tanto quanto altre discipline, come la medicina o l’ingegneria. Nel mondo arabo, invece, l’impostazione del sistema educativo pone la priorità su determinate materie e ciò relega le discipline umanistiche in secondo piano rispetto ai settori STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).
Ciò è stato a lungo discusso dagli studiosi così come si è parlato delle ragioni che hanno condotto a tale fenomeno: nello specifico, le organizzazioni anti-colonialiste hanno raffigurato il mondo arabo come soggiogato dall’Occidente in quanto non abbastanza “avanzato in campo scientifico”. Ma c’è ancora un altro quesito a cui dare risposta, ovvero se il mondo arabo sia pronto o meno ad intraprendere il cammino della modernità solamente con le proprie forze.
Il linguaggio gioca un ruolo importante in questo. Ad esempio, una parte fondamentale della modernità è legata al concetto di laicità. Si potrebbe addirittura dire che è impossibile comprendere il concetto di modernità senza capire quello di laicità. Eppure quando gli arabi hanno iniziato a descrivere la laicità nel XX secolo, la loro comprensione del termine era piuttosto distorta.
In arabo la parola è stata tradotta con ‘almaniyya (علمانية), dalla stessa radice di “conoscenza”. Indipendentemente da come una persona si identifichi intellettualmente con il laicismo, la traduzione non ha alcunché di neutrale. Sicuramente i laici del XIX secolo ritenevano che la loro laicità fosse basata sulla conoscenza, ma era davvero un’opinione condivisa? Se così fosse allora il clericalismo non si fonderebbe sulla conoscenza: e su cosa si baserebbe, dunque?
Un famoso pensatore contemporaneo, Naquib al-Attas, sostiene che il filosofo del mondo arabofono era solito chiamarsi faylasuf (فيلسوف), dalla parola greca philosophia. Man mano, però, che la filosofia è diventata più radicata all’interno della civiltà araba, il filosofo arabo ha iniziato ad essere appellato con la parola hakim (حكيم), dalla radice di “saggezza”.
Il messaggio è ben chiaro: la parola faylasuf era vista come estranea ed esterna, così, una volta radicata, si è legata al concetto più vicino nella coscienza araba, la saggezza. I termini e i significati hanno sfumature sottili, ma al contempo importanti. Forse sarebbe stato meglio rendere la parola “laicità” in arabo con la traslitterazione della parola “secolare”, quando essa entrò per la prima volta nel linguaggio, così da permetterne un’evoluzione più naturale. È chiaro che per ragioni di potere non è stato così.
E ancora oggi, nel 2016, è di potere che si tratta. L’estremismo è in parte una reazione ad esso. L’estremista moderno vuole il potere più di ogni altra cosa, sia che si tratti di un tiranno fascista o di un radicale religioso.
Ma una volta ottenuto il potere quali sono i risultati per la società? Non sono risultati positivi. Anzi, è soltanto un continuo squilibrio. Nel mondo arabo è necessaria una rivoluzione, una di quelle fondata sul ritorno dell’istruzione e sul rinnovamento delle idee. Purtroppo non sembra una causa abbastanza convincente per le persone, almeno per ora.
H.A. Hellyer è opinionista, autore e membro del Rafik Hariri Centre for the Middle East presso il Consiglio Atlantico oltre che membro associato del Royal United Services Institute di Londra.
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