Marocco News Zoom

Marocco e immigrazione: pressioni a catena

Di Zakaria Choukrallah. TelQuel (03/09/2014). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

La delicata condizione in cui da anni si trova il Marocco è la stessa che riguarda i Paesi del Maghreb e in generale del Mediterraneo. I primi in quanto Paesi di transito verso l’Europa, i secondi perché spesso punto di passaggio verso il Nord del vecchio continente. Dato il caos che ha inghiottito la Libia, per ora senza prospettive di costruzione di un nuovo Stato, Marocco e Algeria sono diventati i principali bersagli delle pressioni sia dell’Unione Europea, che cerca di delegare il più possibile le politiche di respingimento dei migranti, sia dei paesi del Golfo, che vorrebbero utilizzare i servizi di sicurezza magrebini per arginare quanto dell’islam radicale sfugge loro di mano.

Il 3 settembre le autorità marocchine hanno espulso 17 cittadini maliani e senegalesi e hanno fermato altre sette persone (camerunensi, nigerini e nigeriani), in attesa di ricondurle verso i paesi di origine. A denunciarlo il Gruppo antirazzista di accompagnamento e difesa di stranieri e migranti (Gadem), che accusa Rabat di aver violato le sue stesse leggi. Anzitutto perché gli arresti sono stati effettuati dopo una manifestazione indetta a Tangeri a seguito dell’uccisione di un cittadino senegalese e molti fermati erano testimoni di atti di violenza contro i migranti nel quartiere tangerino di Boukhalef. In secondo luogo, se i migranti hanno inoltrato la domanda per il permesso di soggiorno senza aver ricevuto risposta, la loro espulsione è illegale, spiega Asmaa Farahat del Gadem. Inoltre la polizia marocchina avrebbe dovuto informare delle espulsioni in corso le ambasciate dei Paesi di provenienza dei migranti, cui la legge in vigore concede 48 ore per presentare ricorso.

Il rischio è che si riduca la questione migrazioni a un fatto di ordine pubblico, come dimostra quanto è accaduto dopo gli scontri del 30 agosto a Boukhalef tra gruppi di marocchini e di migranti. Bilancio ufficiale: un giovane senegalese ucciso, 14 feriti di cui uno grave e una decina di arresti. Tensioni di questo tipo tuttavia si erano già verificate a metà agosto e, prima, nel 2013, dopo la morte di due migranti. Nel tentativo di creare le premesse per una soluzione duratura, all’inizio di quest’anno Rabat ha lanciato una politica di regolarizzazione su vasta scala, ma delle 16.000 domande di permesso di soggiorno presentate fino a giugno, solo 3.000 sono state accettate e la burocrazia dei ricorsi procede piuttosto a rilento.

Ciononostante le tensioni nel quartiere di Boukhalef si stanno facendo sempre più frequenti. Secondo Hicham Rachidi del Gadem, nel quartiere vivono tra gli 800 e i 1000 migranti, per la maggior parte in attesa di raggiungere l’Europa. Forse è proprio questo ad aver indotto Rabat a questa improvvisa ondata di espulsioni. Il 12 agosto più di 900 migranti provenienti dall’Africa subsahariana sono stati soccorsi in mare dalla Guardia civil spagnola e scortati al porto di Tarifa. In pochi circa 1200 persone hanno raggiunto le coste spagnole sulle pateras, pescherecci piccoli e fragili. Il quotidiano El País aveva accusato di questo inaspettato afflusso di migranti la permissività delle autorità marocchine, in particolare della gendarmeria che da giorni aveva smesso di pattugliare le coste. Un tentativo, secondo lo stesso quotidiano, di allentare la pressione migratoria sul Marocco, che da terra di emigrazione è diventato da qualche anno terra di immigrazione.

Vale la pena osservare che il Marocco, come l’Algeria, si trova a fronteggiare da un lato le critiche delle associazioni per i diritti umani che chiedono politiche più solidali, dall’altro le bacchettate securitarie dell’Europa, alla costante ricerca di chi incaricare dei respingimenti, soprattutto dopo la caduta del regime libico di Muammar Gheddafi. Come se non bastasse, Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto sono sollecitati a mobilitare i propri servizi di sicurezza dalle petromonarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che invocano la mobilitazione contro gli sgherri dell’ISIS in Siria e Iraq.

Due meccanismi in campo dunque. Il primo alimentato da Europa e Usa, che cercano di sfuggire alle conseguenze degli interventi militari e dello sfruttamento economico. Il secondo dai paesi del Golfo, che dopo aver sostenuto il salafismo e il takfirismo contro nemici storici come l’Iran, tentano di arginare i gruppi che sembrano sfuggir loro di mano. Una risposta valida a queste due pericolose spirali potrebbe essere la costituzione di un’unione di Paesi magrebini e africani che annoveri tra le sue priorità l’autosufficienza alimentare ed economica dei suoi membri.

Vai all’originale