Nato in una bidonville di Casablanca, Youssef Ouechen è riuscito, grazie alla sua determinazione e al suo lavoro, a eliminare i cliché e imporsi come fotografo nel settore elitario della moda. Uno zoom sulla pellicola della sua vita.
Dalla silhouette longilinea, giacca di pelle affusolata e cappello difforme posato all’indietro sulla testa, Youssef Ouechen ha stile pur rimanendo discreto. La barba, la carnagione chiara e le leggere occhiaie gli donano un’aria di sognatore e nottambulo. Eppure il ragazzo è lontano dall’essere un festaiolo, piuttosto è un gran lavoratore capace di restare in piedi tutta la notte con gli occhi fissi sul pc a ritoccare le foto scattate durante il giorno. Youssef è fotografo di moda, non importa quale moda. Ciò che ama è immortalare lo street style, la moda della strada e dei passanti anonimi. Un credo che gli è riuscito bene. Alcune riviste come Elle New york, Elle Belgique o ancora L’Officiel Maroc hanno fatto appello al suo talento. Tuttavia, ricostruendo la sua vita, niente lo predestinava ad abbracciare questa carriera.
È nata una stella
Youssef nasce nel 1983 nella bidonville di Sidi Moumen, dalla famiglia Ouechen, una delle più conosciute del quartiere. Per caso, suo nonno paterno fu il primo a investire nella zona. All’epoca possedeva una fattoria e dei lotti di terreno che ha in seguito rivenduto ad altre famiglie che volevano stabilirsi nella zona. Nella casa, sprovvista di acqua ed elettricità, regna un ambiente conviviale. Tutti, nonni, genitori, figli e zii abitano nello stesso posto. Il piccolo Youssef oscilla tra la vita di campagna dei suoi parenti e quella di quartiere dei compagni. “Anche io ne ho gettate di pietre”, racconta con lo sguardo perso nel vuoto. I suoi genitori, impiegati in una fabbrica tessile, lavorano duro per guadagnare l’indispensabile. Mentre gli zii, aspri combattenti, si occupano della fattoria e vanno a fare a botte ad ogni partita di calcio. Dal lato dell’educazione, i genitori cercano di trasmettere a Youssef il rispetto, la calma e le regole della buona condotta. “Non lo esprimevamo tanto ma c’era molto amore”, spiega. Bisogna dire che è piuttosto viziato. Suo padre gli ha comprato tutto ciò che voleva, anche chiedendo prestiti: parabola, piano elettrico e macchina fotografica (una Kodak usa e getta), con la quale fotograferà suo nonno poco prima del decesso. “Sidi Moumen era la mia realtà. Ed è là che conservo i miei migliori ricordi”.
Dall’inizio dei miei sogni…
Quando è ancora alle elementari, i genitori di Youssef lasciano la bidonville per un quartiere meno precario ma in cui il livello di vita, troppo elevato, li porta a ritornare a Sidi Moumen. Poi arriva l’adolescenza. Al college, Youssef ottiene per tre anni consecutivi una media di 19 su 20 nelle arti plastiche, il miglior risultato di tutto l’istituto. “Il mio professore mi ha sempre incoraggiato, ha anche cercato di iscrivermi in un liceo tecnico in centro città, ma non ho ottenuto la media del 14 richiesta per l’ammissione”. Il ragazzo entra quindi al liceo di Sidi Moumen, mentre i suoi cugini avevano già da tempo interrotto gli studi. Tra le mura della scuola si annoia. I corsi sono piatti e teme di essere “formattato”. È ora che la sua storia scolastica ha termine. Resta tutto il giorno a casa davanti alla televisione, si nutre dei documentari che passano su France Télévision o su Arte, che gli permettono di imparare il francese. Sua madre gli dà 20 dirhams (circa 2€, ndt) a settimana con i quali prende l’autobus per il centro e compra riviste od occupa gli internet caffè: “Andavo su Youtube per imparare a usare la macchina fotografica, quando ancora non ne avevo una”. A volte, ne approfittava per andare nei centri culturali e assistere a vernissage o esposizioni. È lì che forma il suo sguardo e impara a imitare i codici sociali degli artisti intellettuali. Ed è anche il momento in cui francesizza il suo nome: “Mi sono fatto chiamare Joseph, perché i marocchini accettano meglio tutto ciò che suona europeo”.
Col sudore della fronte
Tutta questa febbre di cultura dà a Youssef la voglia di creare un suo blog di fotografia. Risparmia e scova una Pentax digitale a Derb Ghallef. Per farsi la mano, la famiglia e gli amici diventano i suoi modelli, rendendolo il fotografo del quartiere. Più tardi, grazie a un lavoro da McDonald’s, Youssef si paga una Canon digitale reflex a 4000 dirhams (circa 400€, ndt). Inizia a girare i quartieri di Casablanca per fare scatti di street style. “Ciò che mi interessa, sono le persone ordinarie che hanno un look vero e che esprimono qualcosa”, spiega. Ben presto il suo blog fa parlare di lui e l’agenzia Elite Maroc lo contatta per proporgli di partecipare al suo celebre concorsi di manichini. L’Oréal Maroc allora decide di sponsorizzare il suo blog, proponendogli prodotti gratuiti da offrire agli internauti.Una tecnica di marketing spesso utilizzata dalle imprese per farsi conoscere tramite i bloggers influenti. Un articolo pubblicato dal quotidiano gratuito Aufait aumento considerevolmente il numero di visite sul suo sito. Poi tutto si connette: una doppia pagina su L’Officiel Maroc, missioni per Elle New York, New York Mag e esposizioni dei suoi scatti a San Francisco. Tutto questo senza che lui potesse lasciare il Marocco, in mancanza di mezzi e di un visto. Si procura una licenza per fatturare il lavoro: “Questo ha rassicurato mia madre che credeva io mi stessi deprimendo davanti al computer”. I suoi guadagni sono frutto del lavoro che svolge e che può raggiungere i 30.000 dirhams mensili (circa 3.000€, ndt).Quello che gli consente di permettersi un Macbook Pro, una macchina fotografica e sovvenire ai bisogni della sua famiglia.
Oggi Youssef vive a Sidi Bernoussi e lavora sempre per L’Officiel. Dozzine di progetti ronzano nella sua testa. Inoltre la volontà di lavorare per la leggendaria rivista Vogue USA, l’ha spinto a fare documentari fotografici su soggetti come la moda di Sidi Moumen, i barboni pazzi o i venditori di sigarette che indossano tenute old school. “Il Marocco trabocca di creatività, bisogna smetterla di ridurlo ai caftani”, conclude. Amen!
Il blog di Joseph (Youssef) Ouechen