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Lucera: “Come se non fossi mai andato via”

Zoom 29 set LuceraDi Sayed Kashua. Haaretz weekend magazine (25/09/2013). Traduzione di Roberta Papaleo.

La notte che siamo arrivati a Lucera, pioveva forte. Diversamente da Berlino, la pioggia dell’Italia meridionale ha un suono familiare, che scalda il cuore. Non c’è niente di più emozionante del tintinnare delle gocce di pioggia sui vetri delle finestre e sulle tegole dei tetti. “Se solo i bambini fossero qui con me”, ho pensato avvicinandomi alla finestra del bagno che il vento faceva scricchiolare. “Cosa c’è?”, sussulta mia moglie quanto torno a letto. “Niente”, ho risposto, “Solo la pioggia, torna a dormire”.

“Ci dispiace”, ha detto il giovane Antonio il mattino dopo, uscito dalla sua camera quando mi ha sentito tentare di aprire il portone. “Di solito a settembre c’è un bel sole e non piove”, mi disse con rammarico – come se lui, il padrone di casa, fosse responsabile del tempo. “Mi piace la pioggia”, sorrisi e gli chiesi dove si trovasse il bar più vicino.

Appena uscito, di fronte al portone c’era un’ambulanza circondata da gente del posto. Proprio come a Tira, mi sono fatto i fatti miei. Beh, almeno come nella Tira di una volta: qualsiasi ambulanza entrava nel vicinato, suscitava sempre la curiosità di tutti. Lucera è così simile a Israele, ma anche così diversa.

Il bar era vicino. Sembra che a Lucera ce ne sia uno ad ogni angolo. Ho camminato solo un paio di metri dall’entrata dell’antico palazzo che ospita Antonio, la sua famiglia e le deliziose stanze che affittano ai turisti in primavera e in estate. Ho bevuto il mio espresso in piedi al bancone, come fanno gli italiani, e ho cercato a lungo di spiegare al simpatico barista che volevo altri due caffè da portare via. Tornando, ho visto l’ambulanza cercare di farsi strada tra le strette viuzze. Prima di disperdersi, i vicini erano rimasti ancora un po’ sul posto, con facce tristi, stringendosi le mani e scambiandosi battute malinconiche. I bambini hanno cominciato ad avviarsi a scuola e anche le nuvole sono scomparse, lasciando posto al sole di fine estate.

“Sai cosa?”, dissi a mia moglie una volta usciti in terrazza per bere il caffè, i tetti della città sparsi sotto di noi e i tanti campanili più luminosi che mai.

“Cosa?”, chiese lei di rimando, godendosi il suo caffè.

“Qui tutto mi ricorda casa”, dissi pensosamente.

“Quale casa? Di cosa stai parlando?”, chiese lei. “Non capisco – le chiese ti ricordano più Tira o Gerusalemme Est?”

“Ti sto dicendo”, insistei, cercando di non farmi trascinare dal suo tono cinico: “Non mi sono mai sentito così a casa come qui”. Era davvero così. Mi sentivo a mio agio, come se fosse tutto così familiare: la Città Vecchia, Acri, Giaffa, Safad, la gente, le espressioni, i gesti, il clima. Mancavano solo qualche elemento in più, tipico del Medio Oriente – il sentimento di guerra, di violenza, la volgarità e il disprezzo. Forse perché non conosco le storie celate dietro le porte dell’incantevole Lucera e che, in quanto turista per due giorni, non voglio conoscere.

“Te lo giuro”, continuai, “è come se fossi arrivato a casa – anche se non ci sono mai stato prima”.

“Forse sei stato rapito”, scherzò lei. “Forse i tuoi genitori ti hanno portato via da Lucera e ti hanno sbattuto a Tira”.

“Ridi quanto ti pare”, dissi. “Ma ti dico da subito che rimango qui. Porterò i bambini e resteremo qui. Se tu vuoi tornare a Gerusalemme, fai pure. Voglio far crescere i miei figli qui”.

Avevamo del tempo libero prima del pranzo con gli organizzatori del festival della letteratura, motivo della nostra venuta. Mia moglie ha pensato che fossi impazzito quando chiesi informazioni su agenti immobiliari ad Antonio; ha tirato fuori una mappa e ha deciso di fare un giro nelle piazze e nei negozi, mentre io mi accingevo a consultare una lista di agenzie immobiliari che Antonio mi aveva scritto su un pezzo di carta.

“Che brutto”, disse lei. “Cosa farai tutto solo in un appartamento di quattro camere?”

“Dimmi un po’, sei fuori di testa?”, mi chiese più tardi davanti al portone, mentre aspettavamo gli organizzatori.

“Non capisco perché sei così testarda”, le risposi, incapace di capire perché volesse davvero tornare a Gerusalemme.

“Cos’è che ti sconvolge tanto? Non ho mica comprato un appartamento. Ho semplicemente preso appuntamento con qualche agente e qualche italiano per dare un’occhiata e farmi un’idea”.

Stava per alzare la mano e darmi uno scappellotto quando abbiamo sentito la voce di un uomo dirigersi velocemente verso di noi, accompagnato dalla moglie. “Salve, siamo così felici che siate venuti a Lucera”, disse con allegria l’appassionato di letteratura in completo milanese. “È un piacere ospitarvi al Festival della Letteratura Mediterranea”.

“Vedi?”, sussurrai a mia moglie: “Fanno un festival della letteratura ogni anno. È una città istruttiva. Perfetta per i bambini”.

“Prego”, disse il direttore del festival, facendoci cenno di seguirlo per pranzare nel miglior ristorante della città.

“Allora, sapete qualcosa di Lucera?”, chiese il nostro anfitrione mentre sorseggiavamo un eccellente vino locale tra l’antipasto e il primo. Viste le espressioni di totale rapimento dipinte sul volto di mia moglie ad ogni boccone degli antipasti, capivo che era quasi pronta ad accettare la mia proposta di rimanere a Lucera.

“Sapete perché, tra tutte le località, facciamo il festival in questa cittadina?”, chiese il direttore, a cui risposi scuotendo la testa. “La storia ha inizio nel 12° secolo, quando l’imperatore del Sacro Romani Impero, Federico II, conosciuto per le sue opinioni liberali e la sua tolleranza, viveva in questa zona. Era un uomo di cultura e credeva nella cooperazione tra i popoli. Federico accoglieva i musulmani che venivano espulsi dalla Sicilia, dandogli una casa, trattandoli con gentilezza e concedendogli libertà di culto”.

“Forse sei stato davvero rapito”, sussurrò mia moglie.

“Vedi?”, risposi: “Sono sempre stati affezionati agli stranieri, qui”.

“Intorno all’anno 1300, dopo la morte di Federico e il rafforzamento della Chiesa, ci fu un terribile massacro”, raccontò l’italiano, scuotendo mestamente la testa. “Circa 20.000 musulmani residenti qui vennero massacrati in quella fortezza, lassù”, disse indicando.

“Non si sa bene quanti sono sopravvissuti e quanti si siano convertiti al cristianesimo”, aggiunse, mentre mi strozzavo con una piccola oliva di coltivazione locale.