Di Mustapha Tossa. Atlas Info (28/01/2015). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.
I riflettori del Cairo non hanno fatto in tempo a spegnersi sull’opposizione siriana che si sono accesi quelli di Mosca. Quest’opposizione continua a fare la spola tra le capitali del mondo che credono di poter risolvere la crisi. Da Istanbul, passando per Ginevra, il Cairo e Mosca l’opposizione siriana, in particolare la parte nota come “coalizione”, continua a perseguire il sogno di prendere un giorno il potere a Damasco. Questo sogno, aveva pensato per un momento di poterlo realizzare con le armi, sulla scia delle grandi metamorfosi del mondo arabo, ma oggi è obbligata a realizzarlo tramite le negoziazioni.
La novità di queste ultime settimane è l’intervento dell’Egitto nella crisi siriana. Un Egitto governato da Abdel Fattah El Sisi che vede di cattivo occhio la prevalenza dei radicali islamisti in seno all’opposizione siriana. Un Egitto che vedrebbe in modo favorevole il mantenimento del regime di Bashar al-Assad malgrado gli orrori che è accusato di aver commesso contro il suo popolo.
Che sia al Cairo o a Mosca, a quest’opposizione viene chiesto di adeguarsi a una soluzione transitoria invece di sognare una rottura totale con l’ordine stabilito. Lanciata da Mosca, approvata dal Cairo, quest’iniziativa è il frutto diretto della grande guerra internazionale contro Daish (conosciuto in Occidente come ISIS), priorità sia per gli americani che per i francesi. Con un sottofondo di silenzio da parte della diplomazia mondiale, ben rappresentato dalle esitazioni di Obama sull’argomento, è stata operata una cesura nella soluzione della crisi siriana.
Danno collaterale, l’opposizione siriana cosiddetta “moderata” non può che accettare più o meno amaramente le nuove condizioni per negoziare. Questo non solo indebolisce la sua credibilità, ma spezzetta le sue forze in gruppetti tanto minuscoli quanto inefficaci.
L’intervento egiziano nella crisi siriana viene fatto anche nello spirito di bloccare l’influenza turca in un gioco aperto di competizione politica tra il Cairo e Ankara. La Turchia è accusata di favorire il versante più radicale dell’opposizione siriana, assunto da cui derivano varie critiche: il suo gioco giudicato torbido rispetto a Daish, il suo rifiuto di partecipare a un’operazione militare per smantellarne i bastioni, l’osservazione fatta da diversi servizi segreti europei e arabi secondo i quali i turchi chiudono volontariamente gli occhi sulle filiali straniere che nutrono e rinforzano Daish.
L’entrata in scena dell’Egitto arriva a braccetto con un nuovo punto di vista in cui nessuno più evoca la destituzione di Assad come condizione sine qua non per negoziare, neanche i suoi più grandi detrattori regionali. Questa nuova situazione, apparentemente accettata dall’opposizione moderata, suggella la vittoria della Russia. Mosca, in effetti, si era rifiutata da subito di mandare via Assad, convinta che lo smantellamento del regime siriano “all’irachena” avrebbe aperto le porte alle organizzazioni fondamentaliste che avrebbero cercato di prendere il potere a Damasco.
Nel suo lungo braccio di ferro con Washington e Parigi sull’argomento, la diplomazia russa si stupiva regolarmente di vedere che una realtà così concreta, così chiara all’occhio nudo, non fosse altrettanto trasparente per tutti i detrattori di Assad. Durante lunghe sedute diplomatiche la sola ossessione che abbia dominato i dibattiti era se armare o meno l’opposizione siriana.
Il terribile destino di quest’opposizione è di essere sballottata seguendo i programmi di uno e dell’altro Paese, con un rischio mortale al peggio di estinzione, al meglio di inutilità.
Mustapha Tossa è un giornalista vice caporedattore di France Media Monde.
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