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L’Occidente ha bisogno di un dose di umiltà in Medio Oriente

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Soumaya Ghannoushi. Middle East Eye. (09/02/2016). Traduzione e sintesi di Ismahan Hassen.

I confini di ciò che oggi chiamiamo Occidente sono più immaginari che reali. Lungi dall’essere fissi, sono cambiati costantemente in base alla politica e agli equilibri di potere. Questo ha fatto sì che anche il centro del potere all’interno di questo “impero” sia variato nel tempo. Nel XVIII secolo, il centro di comando politico era Londra e, in misura minore, Parigi. Poi, col crollo dei vecchi imperi dopo la seconda guerra mondiale, il centro si è spostato oltre l’Atlantico, verso Washington. Questo spostamento dell’asse di gravità in campo militare, economico e politico ha però lasciato all’Occidente alla percezione di se stesso ancora come perno, sede del potere, del progresso, della ragione e della creatività. In quel contesto, c’era una corrispondenza tra immagine di sé dell’Occidente e la sua realtà, tra il suo senso di superiorità morale e culturale e il suo status come la forza dominante nel mondo.

Nel corso del tempo, gli studi e le critiche di orientalismo, portate avanti da Edward Said e dagli studi post-coloniali, hanno dato fatto molto per minare le certezze del discorso della modernità e per mettere in discussione l’immagine che l’Occidente dava di sé. Il mainstream accademico non ha mai davvero allontanato sé stesso dal senso di superiorità culturale dell’Occidente, nonostante gli enormi cambiamenti politici ed economici che si sono avuti sulla scena mondiale.

Tuttavia, l’Occidente di oggi non è quello del XIX o XX secolo, il centro del mondo non è più Londra, nè Parigi, o anche Washington. Vivendo in quello che alcuni possono descrivere come un mondo multipolare o semplicemente come un sistema non-polare, ciò che sembra certo è che oggi nessuna singola potenza è in grado di regolare il ritmo degli eventi sulla scena mondiale o di plasmarli come meglio ritiene opportuno. L’ordine mondiale è multi-dimensionale, con una pluralità di centri sparsi in tutto il mondo: Cina, Russia, India, Giappone, e non solo a livello internazionale, ma anche a livello regionale. In effetti, gran parte di ciò che accade in Medio Oriente – in Siria, Egitto, Iraq, Libia o in Yemen, per esempio – è l’effetto del crescente potere degli attori regionali e locali, che hanno beneficiato del vuoto generato dalla sconfitta dell’America in Iraq e in Afghanistan.

Oltre alle potenze internazionali e regionali, anche gli attori non statali stanno esercitando un’influenza sempre maggiore. Hamas, Hezbollah, così come i gruppi terroristici come Daesh (ISIS) e Al-Qaeda, hanno dettato il corso degli eventi nella regione, dalle rivoluzioni arabe alla tendenza controrivoluzionaria che ha cercato di interrompere quel processo di cambiamento. In entrambe le occasioni, l’Occidente è stato ridotto a spettatore.

In Egitto, per esempio, i principali attori sua rivoluzione sono state le masse, l’esercito, e poi i Paesi del Golfo che hanno complottato per rovesciare Mohamed Morsi. In Siria, i protagonisti sono Iran e Russia da una parte, e Turchia, Arabia Saudita e Qatar, dall’altra. Ancora, in Iraq, sono gli iraniani e Daesh ad avere i ruoli principali. L’Occidente è stato relegato alla parte di un più marginale. In breve, quello che abbiamo oggi è un Occidente che è militarmente ed economicamente in contrazione, che parla ancora come il signore e padrone dei destini delle nazioni e dei continenti, ma che ha invece bisogno di una grande dose di umiltà per riportare le sue grandi narrazioni con i piedi per terra.

Soumaya Ghannoushi è una scrittrice britannica di origini tunisine e esperta di politica mediorientale.

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