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Lo Stato, il motore difettoso dell’economia tunisina

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Di Basser Ennaifar. Al Huffington Post Maghreb (01/09/2010). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Qualche giorno fa, la Banca Centrale tunisina ha rilasciato una nota in cui annuncia l’ingresso del Paese in “recessione tecnica”. Infatti, il PIL è sceso dello 0,7% e dello 0,2% nei primi due trimestri dell’anno. Ma stranamente Tunindex, indice di riferimento della Borsa di Tunisi, continua la sua ascesa facendo registrare  la migliore performance nei mercati finanziari della regione MENA dall’inizio dell’anno. Come si spiegano questi dati? C’è uno scollamento tra l’economia reale e la sfera finanziaria? La risposta potrebbe stare nella presenza dello Stato nel mercato azionario.

Se diamo uno sguardo al mercato azionario tunisino, vediamo alcuni dati molto interessanti: le imprese pubbliche tunisine rappresentano il 13% della capitalizzazione di mercato, il 24% della forza lavoro totale e il 40% della massa salariale! In altre parole, si tratta di aziende che non sono nei primi ranghi della Borsa di Tunisi, che sono sovradimensionate, che pagano molto bene. L’andamento positivo di Tunindex dipende quindi da aziende private che riescono ad mantenere buoni guadagni nonostante una situazione economica difficile.

Basta questo a riassumere il problema. Le imprese private sono riuscite a trovare una flessibilità sufficiente per adeguare le loro offerte di prodotti e servizi, le strutture dei costi operativi e le architetture organizzative con la realtà economica. Al contrario, le imprese pubbliche continuano a perseguire lo stesso modello inefficace, incapaci di creare sufficiente valore.

Se traduciamo tutto ciò in termini economici, arriviamo all’origine dei problemi del nostro Paese. Un settore privato che sta cercando di trovare soluzioni (pur essendoci entità private che non s’inscrivono in questa logica) e un settore pubblico che soffre da un gran numero di funzionari, molti dei quali improduttivi.

La soluzione prevede la riduzione dell’intervento dello Stato nell’economia. Certo il funzionamento dei mercati non è perfetto, ma le falle dello Stato tunisino è così flagrante che è opportuno limitare il suo ambito di intervento ad alcune attività: sicurezza, giustizia, esternalità negative, salute e istruzione. Questo permetterebbe una migliore distribuzione della ricchezza in quanto il denaro dei contribuenti (pagato per lo più dai ricchi) sarebbe investito in servizi pubblici di base per garantire gli standard minimi di qualità della vita al resto della popolazione.

Ma prima di raggiungere questo punto, è opportuno passare attraverso una fase intermedia. È difficile accettare questa realtà da parte della maggioranza dei tunisini che pensano che la rivoluzione non ha soddisfatto nessuno dei suoi obiettivi. Dobbiamo quindi cominciare con il lancio effettivo del PPP (Partenariato Pubblico Privato, ndr). Questo potrebbe essere l’unico metodo in grado di sbloccare la situazione a breve termine e aumentare gli investimenti interni. Dobbiamo anche avviare la costruzione di importanti riforme, tra cui la riforma fiscale, una drastica semplificazione di tutte le norme, migliori opportunità economiche per le classi deboli, il consolidamento dei regimi di previdenza sociale e gli incentivi per l’occupazione.

L’attuale governo è stato molto fortunato ad avere un contesto più che favorevole nel corso del 2015 con un calo dei prezzi delle materie prime. L’inflazione è stata in parte controllata e il deficit esterno è stato stabilizzato all’8,5% del PIL così da assorbire l’urto degli attacchi al Bardo e a Sousse. Ma quanto tempo potremo ringraziare questa congiuntura? Certo, si sta facendo un lavoro di fondo senza il quale le riforme non avrebbero valore, ma bisogna prestare molta attenzione. Già  a livello sociale ci sono numerose difficoltà. È questo il momento di dire la verità ai tunisini e di annunciare la necessità di prendere delle “decisioni dolorose”. In caso contrario, il governo avrà davanti giorni molto difficili. 

Bassem Ennaifar è un analista finanziario e scrive per Al Huffington Post Maghreb.

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