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L’Iraq, la Turchia e le elezioni presidenziali

Di Elena Kojaman. Asharq al-Awsat (25/06/14). Traduzione e sintesi di Antonino d’Esposito.

L’Iraq si dividerà in tre? Nell’ultima settimana questa domanda è comparsa in molti articoli, in realtà si tratta della solita storia vecchia di 1400 anni, ma ci stiamo gradualmente avvicinando alla sua realizzazione.

Barzani, presidente del Kurdistan iracheno, prima che le vittorie dell’organizzazione Daish (ISIS) diventassero consuetudine, ha parlato in molte occasioni di indipendenza, ma il sistema curdo iracheno è debole, incapace di raggiungere il fatturato stimato al 17% sul reddito petrolifero e di accordarsi col governo centrale sul passaggio di questo petrolio verso la Turchia. Un referendum per l’indipendenza avrebbe senza dubbio visto vincitore al-Maliki, ma l’arrivo di Daish ha cambiato la scena. Non appena l’amministrazione centrale ha perso influenza, i Peshmerga curdi hanno preso il sopravvento e obbligato il governo di Baghdad a sottomettersi alle loro richieste, come l’aumento al 25% sulle quote del petrolio.

Guardiamo ora alla Turchia. Cosa farebbe se sul suo confine sud nascesse un Kurdistan indipendente? Sin dal 2008 Ankara ha importanti relazioni economiche e politiche con la regione, ma la questiona ha anche risvolti ideologici: c’è chi in Turchia vorrebbe la stessa cosa. D’altronde il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è attivo anche sul territorio curdo turco e gode dell’appoggio della popolazione, minacciata dalla repressione e da Daesh. Un Kurdistan iracheno servirebbe dunque d’appoggio per dividere la Turchia.

Tuttavia, lo scenario turco dipende dalle elezioni presidenziali del prossimo agosto. I due principali partiti d’opposizione hanno scelto un candidato comune, Ekmeleddin Ihsanoglu, personalità di spicco conosciuta nel mondo musulmano. Professore universitario e primo segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, Ishanoglu non ha alle spalle nessuna esperienza politica e questo potrebbe essere un problema.

Intanto il partito di governo non ha ancora scelto il proprio candidato e molte voci dicono che se questo verrà eletto, la Turchia diventerà uno stato presidenziale federale, sul modello USA. Una tale riforma rappresenta però una grave minaccia perché, se verrà fondato il Kurdistan iracheno, il PKK salirebbe al potere anche in quello turco e ci sarebbe il pericolo di una fusione delle due regioni a discapito della Turchia. Il sistema presidenziale sembra dunque il male maggiore per un paese già circondato da nazioni in subbuglio, come Siria, Iraq e Ucraina. L’opzione più realistica appare quella di affidarsi all’attuale sistema guidato da Abdullah Gül.

Le divisioni etniche e di classe sono utili solo a chi desidera dividere lo stato. Se il mondo musulmano vuole trovare una soluzione ai suoi problemi, deve farlo nell’unità.

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