Il ritiro delle truppe statunitensi dalle basi irachene segna un punto a favore dell’Iran e dei suoi alleati nel paese. Washington considera un contrattacco o un compromesso politico
di Hasan Fahs, al-Modon, (5/04/2020). Traduzione e sintesi Pietro Menghini
Nonostante la decisione americana di evacuare alcune basi militari in Iraq, i leader iraniani e i comandanti delle Unità di Mobilitazione Popolare Irachene temono possibili rappresaglie statunitensi. Queste infatti mirerebbero a limitare la presenza iraniana nel paese, in accordo con la risoluzione irachena del gennaio 2020. L’obiettivo dell’evacuazione è quello di allontanare i soldati dalla portata dei missili a corto raggio. Nonostante le operazioni di ritirata americane, è possibile che la Casa Bianca decida di intraprendere un’operazione militare contro il movimento al-Nujba e le brigate Hezbollah. Questi infatti, come annunciato dall’amministrazione Trump, sono ritenuti responsabili degli attacchi contro le basi americane a Kirkuk e a Baghdad, su ordine del capo dei servizi di sicurezza e militari iraniani in Iraq.
Gli strateghi iraniani vedono però nelle operazioni e nella retorica americana solo l’espressione della “guerra psicologica” condotta da Washington per spaventare Teheran e costringere gli iraniani ad accettare il candidato che il presidente iracheno, Barham Salih, ha proposto per la formazione di un nuovo governo. Il candidato è ‘Adnan al-Zurfi, capo del blocco al-Nasr ed esterno alle coalizioni sciite, che rappresenta il pericolo di far passare il potere esecutivo nelle mani di una personalità lontana dagli interessi degli iraniani e dei loro alleati.
I dirigenti politici delle Guardie della Rivoluzione confidano nel fatto che le minacce di Washington siano soltanto la manifestazione della debolezza americana in Iraq. Questi stessi dirigenti hanno cercato infatti di far apparire la visita del capo delle brigate al-Quds, Esmail Qaani, uno sforzo per impedire la nomina di al-Zurfi e non una risposta alle minacce americane, cercando di non dare importanza a queste utlime. Altri comandanti iraniani non temono la possibilità di uno scontro con gli Stati Uniti, soprattutto visto l’avvicinarsi delle elezioni americane e le conseguenze su di esse che la gestione dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus potrebbe avere.
I movimenti e le minacce dei due attori non condurranno a uno scontro, ma saranno solo l’inizio delle trattative affinché entrambe le parti raggiungano un punto d’intesa che garantisca i loro obiettivi. La scelta dello scontro potrebbe però sostituire quella della coesistenza con gli iraniani in Iraq, almeno da parte americana, non solo per prevenire la caduta in mano iraniana dell’Iraq, ma anche per prevenire la caduta del Libano. Se l’Iran dovesse insistere nel voler imporre la sua supremazia, Washington avrà infatti la possibilità di imporre forti sanzioni economiche.
In conclusione ci si chiede se il ritorno al dispiegamento di truppe e di sistemi di difesa avanzati, le minacce degli iraniani e dei loro alleati, la visita di Qaani e la nomina di al-Zurfi porteranno alla conclusione di un accordo tra Teheran e Washington. Questo accordo consisterebbe quindi nell’accettare, da parte iraniana, la nomina di al-Zurfi e, da parte americana, l’inizio del ritiro dall’Iraq, stabilito dal parlamento iracheno nel gennaio 2020.
Hasan Fahas è uno scrittore e giornalista libanese, direttore dell’ufficio di al-Hayat in Iran e del canale al-Arabiyya in Iran e Iraq. È esperto di affari iraniani.