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L’Iraq sarà il prossimo?

Editoriale. The Daily Star (25/04/2013). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Proteste in IraqNegli ultimi anni, le prime pagine dei giornali sono state dominate dalle rivolte popolari contro i longevi capi di Stato del mondo arabo: anche la relativamente “nuova” leadership in Iraq non è stata risparmiata.

I leader iracheni dovrebbero essere orgogliosi del fatto che le truppe americane si siano finalmente ritirate, dando all’Iraq la possibilità di prendersi la responsabilità di gestire il Paese. Tuttavia, la guida del primo ministro Nuri al-Maliki non è riuscita a risanare le faglie etniche e settarie che hanno intralciato lo sviluppo dell’Iraq nell’ultimo decennio: poco è stato fatto per risolvere le dispute sulla relazione tra le aree curde ed il governo centrale di Baghdad; inoltre, le autorità irachene hanno da tempo pessime relazioni con la comunità politica sunnita.

L’orrenda violenza emersa negli ultimi anni in diverse città dell’Iraq dovrebbe ricordarci che il mondo arabo non è lo stesso rispetto agli inizi del 2011. Le frammentazioni settarie, e non solo, esistevano già, ma quando le forze del governo iracheno hanno risposto alle proteste pubbliche usando armi ed elicotteri, hanno agito nella stessa, inflessibile e violenta maniera adottata dai regimi arabi autoritari.

Ora è vivo il timore che la repressione in Iraq, che purtroppo ha preso di mira una sola comunità, potrebbe degenerare in un vero e proprio conflitto civile. I politici iracheni devono ricordare che il loro Paese continua ad essere devastato dalla piaga di al-Qaeda e che le ingenti riserve di petrolio di cui dispone l’Iraq lo differenziano dai Paesi che hanno vissuto la cosiddetta “Primavera Araba”. La posta in gioco è molto più alta in Iraq, già messo alla prova dai disordini nell’adiacente Siria.

Il conflitto in Siria è stato  lungo visto come una potenziale fonte di tensione e violenza nei Paesi vicini come il Libano e la Giordania, ma gli eventi in Iraq, la cui comunità sunnita è alquanto irritata dalla faziosità percepita in seno al governo centrale, dovrebbero preoccupare chiunque.

Una leadership che resta ancorata alla vecchia maniera di fare le cose (prima sparare ai manifestanti e poi fare le domande) si dimostrerà fragile come i solidi e longevi sistemi di governo che sono andati cadendo in tutta la regione negli ultimi anni. I politici ed i funzionari iracheni dovrebbero abbandonare la loro ostilità nei confronti dell’idea che il popolo ha il diritto di mettere in dubbio l’esercizio di un dato governo.

Se al-Maliki ha un qualsiasi dubbio sulla strada intrapresa, tutto ciò che deve fare è contare il numero di ministri che si stanno dimettendo per protesta. L’Iraq ha già vissuto la distruzione della guerra civile e non c’è modo di tollerarne un’altra.

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