La generazione dei giovani iraniani cresciuta con il libero utilizzo di internet e con una coscienza politica e sociale cristallizzata, mobilita manifestazioni per chiedere libertà civili
Di Marah Bukai, al-Arab.co.uk, (08/12/2019). Traduzione e sintesi di Alessandro Tonni.
Gli americani rimangono saldamente ancorati ai loro disegni politici pianificati per porre sotto stretto assedio l’Iran e insistono in modo particolare sulle linee rosse tracciate per impedire agli iraniani qualunque tipo di manovra diversiva che possa permettere ad essi di sottrarsi alle sanzioni internazionali imposte per arginare la loro attività atomica, con i suoi risvolti militari che destano perplessità e timori. Ciò nonostante, il presidente Donald Trump continua a mantenere una posizione di intransigenza moderata, ovvero, da una parte non prende in considerazione l’accordo del 5 +1 sul nucleare iraniano e non rivede le sanzioni americane che gravano su Teheran, invece, dall’altra, evita di fare in modo che il contrasto diplomatico ed economico possa condurre ad uno scontro aperto.
Il presidente, continua ad essere succube del fronte interno americano e dei limiti posti dalla prossima ed imminente campagna elettorale presidenziale. Tali vincoli, infatti, impediscono a Trump di condurre una escalation militare con Teheran, un fatto che porterebbe necessariamente ripercussioni negative sulla sua campagna del 2020.
Sono passati ormai trent’anni dall’ultimo scontro militare diretto diretto tra Iran e Usa. Il 18 aprile del 1988, la marina militare americana sferra una vasta operazione nel Golfo Arabico, da Washington denominata in codice “mantide religiosa”. L’attacco, era stato condotto in risposta al danneggiamento della base portaerei americana Samuel B. Roberts, causato da una mina posata dagli iraniani. Nel corso di quella operazione, la marina degli americani danneggiò due navi da combattimento e distrusse due piattaforme militari iraniane di controllo.
Quella fu la prima occasione in cui i missili americani terra-terra venivano utilizzati nel corso di un combattimento diretto con le forze iraniane che accusarono perdite ingenti nell’arco di un giorno soltanto. Dunque, sembra proprio che il regime di Teheran ha fatto tesoro dell’esperienza di quella operazione, che a quel tempo era stata il più grande scontro mai combattuto dalla marina americana dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale. Ed infatti, da allora in poi, gli iraniani hanno preso la decisione di evitare di sfidare gli interessi americani in maniera diretta. Perciò, quando erano necessariamente costretti a farlo, facevano ricorso a loro vicari nella regione.
Pertanto, Teheran è ben consapevole che una guerra aperta e diretta tra Iran ed Usa condurrebbe ad uno sfacelo completo per il vecchio sistema di potere basato sulla autorità degli Imam ed esercitato nell’ambito della loro limitata ed esclusiva area di azione. Le sanzioni americane sugli iraniani, dal canto loro, hanno raggiunto il loro massimo apice e hanno impresso segni tangibili sulle sollevazioni popolari che hanno gremito le città dell’Iran e di altre parti ancora, tra le quali la stessa Teheran.
Le forze dei Basiji, hanno fatto ricorso alla repressione e agli arresti dei manifestanti, uno scenario che rievoca la crude oppressioni della rivoluzione verde del 2009 condotte in quella occasione per arginare le proteste, visto che Teheran non era in condizione di sobbarcarsi le responsabilità interne di tale fatto. Inoltre, quest’ultimo, portò ad una ancor più intensa pressione esterna esercitata dalla comunità internazionale, in testa alla quale gli americani.
All’interno di questo clima di contrasti e fratture profonde tra le masse sollevate in rivolta nelle strade e una classe di governo dispotica in nome della fede, in un contesto di repressione politica sempre più pesante, l’accesso ad internet viene bloccato per impedire ogni possibilità di contatto tra i manifestanti, la valuta crolla e aumenta la media della disoccupazione ad un livello senza precedenti.
Il popolo iraniano, assoggettato, arriva inevitabilmente ad un punto di non ritorno, di fronte ad un regime consumato su se stesso e assediato sul piano regionale e internazionale. A questo proposito, alla fine, saranno gli americani ad avere la soluzione curativa per la malattia cronica che affligge il Medio Oriente e il resto del mondo, con le loro rassicurazioni diplomatiche tradotte sul piano politico in interventi sbrigativi ed estremi che finiscono per essere l’unico rimedio possibile di cui non si può fare a meno.
Marah Bukai è una ricercatrice accademica e scrittrice americana di origini siriane, scrive articoli di attualità politica sulle testate Elaph, al-Arab.co.uk, al-Arabiya.net, Zaytunagency.net, al-Jazeera, al-Hiwar al-Mutamaddin الحوار المتمدن , Geiroon.net شبكة جيرون الاعلامية .
Vai all’originale: https://alarab.co.uk/إيران-في-عين-الحريق
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