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Like a rolling stone

piazza tahrirArticolo di Silvia Di Cesare.

25 gennaio 2013. Eppure a guardare le immagini non sembra cambiato molto rispetto a due anni fa. E forse le immagini questa volta sono veramente esplicative della realtà. “ Sono in piazza per difendere i miei diritti, sono accampato qui da settimane per i miei diritti e per quelli delle persone morte nella rivoluzione”, dice un manifestante in Piazza Tahrir al microfono di un giornalista di Al Ahram. Sì, effettivamente non sembra cambiato molto.

Io sicuramente sono cambiata, ed è sicuramente cambiato l’occhio con cui guardo queste immagini, alla ricerca di vie conosciute, di negozi vissuti, di visi di amici incontrati nei miei mesi vissuti al Cairo.

Non è solo curiosità, è una specie di senso di appartenenza. Non ad una rivoluzione o ad un popolo, sarebbe troppo. Ad uno stato d’animo però sì.

Le foto di oggi mi infondono rabbia, ma anche orgoglio. I sentimenti che provai andando a Piazza Tahrir ed i sentimenti che lessi nelle parole di Mostafa, giovane egiziano che in quella piazza mi ci portò.

Mostafa ha 20 anni, appena laureato, con la voglia di viaggiare, non per fuggire dal suo paese, ma per scoprire, per conoscere, per poi tornare in Egitto nella sua città;  in questa Cairo il cui spirito non ha ritrovato neanche nella nostra bell’Italia.

Mostafa non vuole andar via per non tornare. Il suo futuro lo vede qui, in queste strade ed in questi locali aperti fino alle 4 di notte, con la sua famiglia ed i suoi amici, a parlare davanti ad un tè di politica come ha imparato a fare appena due anni fa.

“Prima della rivoluzione la gente non parlava di politica. Si pensava a se stessi, ai propri obiettivi alla propria vita. Non esisteva uno stato per cui lottare e morire, anche. La rivoluzione ha cambiato tutto!” mi racconta appoggiato ad una macchina nel parcheggio del Festival internazionale del cinema del Cairo, al ritorno da Piazza Tahrir, da quella piazza, dalle voci, dalle urla, dalla rabbia.

La Piazza è la stessa, Mostafa no e come lui tutte le persone che oggi erano lì. “Durante la rivoluzione, lottavamo insieme, per l’Egitto. Non pensavamo che Mubarak sarebbe crollato. Lottavamo per cambiare le cose, ma nessuno si aspettava niente”, riesco a rivivere con lui quei momenti, la sua voce ed il suo sguardo diventano duri quando parla di quei giorni.

“ Oggi la piazza ha un sapore completamente diverso. Molte persone che prima rimanevano a guardare le rivolte alla televisione ora scendono a manifestare, per salvare la barca che sta affondando”.  Le sue parole non mi convincono, è come se la rabbia non lo avesse abbandonato. È un ragazzo forte, Mostafa.

Nel suo sguardo rivedo gli occhi dei miei coetanei italiani. Non vi è pero traccia della frustazione che attanaglia i miei giovani connazionali. Non si arrende Mostafa, anche di fronte ad un paese diviso ed incerto, di fronte alla realtà delle cose che rimane immutata davanti ai propri occhi anche dopo tutta la fatica, le morti di quel gennaio 2011. Per il suo paese lui andrebbe anche in guerra, anzi “penso di esserci già stato. Non era forse una guerra nel suo significato letterale, ma lo sembrava a tutti gli effetti. Carri armati, morti, fuoco insomma pure se non era una guerra ci assomigliava molto”. E lui era lì perché sentiva la necessità di lottare per i diritti degli altri giovani egiziani morti, proprio come il ragazzo di oggi, nonostante la paura che lo attanagliava e la consapevolezza che chiusa la porta di casa non sapeva se vi avrebbe fatto ritorno.

Dove sarà Mostafa oggi, 25 gennaio 2013? Con molta probabilità e in Piazza in mezzo alla sua gente, perché  non riesce mai a “stare a casa a guardare gli altri lottare per salvare il mio paese”. Mi chiedo come si sentirà Mostafa, ancora una volta costretto dalla propria coscienza a scendere in Piazza in un altro lungo venerdì. Chissà se ora avrà le idee più chiare sul futuro del suo paese rispetto a tre mesi fa. “ Non so cosa succederà”, mi disse sfuggendo al mio sguardo, “so solo che quello che sta succedendo nel paese è un processo che non può essere fermato. Ci stanno provando, ma è come una roccia che cade dalla montagna. Loro ci stanno buttando addosso della sabbia, ma non puoi fermare una roccia che rotola”.  Era ottimista Mostafa, un ottimismo per me quasi inconcepibile. Chissà se lo è ancora, oggi.