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Libia, tra le ambizioni turche e il risveglio algerino

Turkish President Recep Tayyip Erdogan (R) and Libyan Prime Minister Fayez al-Sarraj (L) hold a joint press conference at the Presidential Complex in Ankara on June 4, 2020. (Photo by Adem ALTAN / AFP)

La Turchia non si arresta e annuncia di voler istituire due basi militari in Libia, a Watiya e Misurata

di Nabil Naili, Ray al-Youm, (15/06/2020). Traduzione e sintesi di Maddalena Goi

Secondo quanto dichiarato dal quotidiano turco Yeni Şafak, la cooperazione militare tra Libia e Turchia salirà a livelli più alti. Dopo la visita ad Ankara del Presidente del Consiglio Presidenziale del Governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Sarraj, la Turchia intende stabilire due basi militari permanenti in Libia, la prima aerea, ad al-Watiya, a sud ovest della capitale di Tripoli e la seconda navale nella città di Misurata. Il giornale ha dichiarato che questi sforzi hanno l’obiettivo di rendere Al-Watiya una base aerea turca in grado di fornire droni e sistemi di difesa aerei turchi i quali hanno contribuito al successo delle operazioni militari che hanno portato al ripristino delle forze del Governo di Tripoli.

Misure simili saranno prese anche nella città portuale di Misurata, che si affaccia sul mar Mediterraneo, in cui verrà costruita una base navale attrezzata da droni e sistemi aerei.

Secondo il quotidiano turco, le continue provocazioni da parte della Grecia nel Mar Mediterraneo e la crescente tensione in quell’area, richiedono la presenza delle forze navali turche nelle acque territoriali libiche e di conseguenza la conversione del porto di Misurata in una base navale turca permanente. In questo modo la Turchia si troverà a condividere un’area ricca di petrolio e pertanto la presenza delle navi da guerra turche sono necessarie per mantenere le attività di scavo al sicuro da ogni possibile minaccia! E il prolungamento della guerra è solo la prova di ciò che è in programma per la Libia e la Turchia.

L’accordo del 27 Novembre 2019 firmato tra il Governo di Sarraj e la Turchia di Erdogan sulla delimitazione delle frontiere marittime e il rafforzamento della cooperazione militare e di sicurezza tra le due parti, ha suscitato la forte opposizione del Generale Haftar seguito da Egitto, Grecia, Cipro e dall’amministrazione Europea. La Turchia cerca di stanziarsi militarmente in Libia per sfruttare la crisi nel paese e impadronirsi delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale. Nemmeno i regolamenti del parlamento tunisino dissuaderanno la Turchia dai suoi piani.

Le ambizioni del presidente turco non si limitano solo all’ottenimento della maggiore quota di petrolio e gas libico, ma si estendono anche al consolidamento dell’influenza turca in Libia, politicamente e militarmente. Altrimenti, cosa significherebbe l’annuncio del Governo turco di istituire due basi militari in Libia? Cosa significa per il ministero della Difesa turco annunciare una esercitazione militare che ha coinvolto 8 tra fregate e corvette e 17 velivoli, con la partecipazione di unità dell’Aeronautica e del comando navale, condotta da centri operativi turchi? Cosa significa il silenzio dei paesi vicini, con l’accettazione della presenza turca e la convivenza con essa, di fronte al continuo invio di mercenari armati nella capitale Tripoli? Cosa significa l’annuncio da parte del ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, che respinge la proposta egiziana per un cessate il fuoco in Libia definendola un’iniziativa nata “morta”? Cosa significa l’ostruzione turca di fronte alla missione navale europea “IRINI”, volta a far rispettare l’embargo sulle armi in Libia, che ha spinto l’Unione Europea a chiedere il sostegno della NATO?

Il presidente algerino, Abdelmajid Tebboune, ha dichiarato: “Il sangue che scorre in Libia è sangue libico, non è il sangue di coloro che combattono per procura”; ed ha aggiunto che la Libia si sta dirigendo verso uno scenario siriano, ma la soluzione non è quella militare. Se il conflitto non si ferma, la Libia è destinata a finire come la Somalia, sorte che non risparmierà nemmeno l’Algeria! Sulla volontà del generale Haftar e del premier al Sarraj di accettare la mediazione algerina, è da chiedersi se il Presidente Tebboune ha un leader libico a cui rivolgersi.

È vero che l’Algeria è l’unico paese che può riunire tutti i partiti libici, ma cosa si dovrebbe fare alla luce del mancato rispetto dell’embargo sulle armi in Libia da parte di alcuni paesi? E di fronte alle nuove basi militari turche nel paese? No, l’Algeria non interviene affatto. Il governo di Tebboune non è contrario a trattare coi paesi vicini, che sia l’Egitto o la Tunisia, per l’ottenimento di una soluzione alla crisi, ma le regole vanno rispettate! Il travestimento della storia è una negazione o un allineamento o un torto, che tuttavia non cancella i confini geografici. Il dilemma libico non è che una questione di tempo: e la tempesta che sta per scoppiare non riconoscerà i confini dell’accordo Sykes-Picot, che molti insistono a proteggere!  

Nabil Naili, ricercatore di origine araba all’Università di Parigi

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