Di Pierre Akiki. Al-Araby al-Jadeed (18/03/2017). Traduzione e sintesi a cura di Andrea Francesco Monaco.
Il popolo libanese torna in strada, all’indomani della discussione della nuova legge di bilancio in parlamento che stabilisce di imporre circa venti tasse aggiuntive, per finanziare diversi settori. Come in passato, lo Stato non ha provveduto a porre fine agli sprechi o alla corruzione, ma ha aumentato le tasse per risanare il deficit di bilancio, guadagnare la fiducia della Banca Mondiale e delle altre istituzioni internazionali; soprattutto alla luce del fatto che il governo ha incaricato le banche libanesi di gestire la rinegoziazione di obbligazioni internazionali dal valore di 1,5 miliardi di dollari. Per saldare tale somma il Libano deve presentare un “rendiconto finanziario” che garantisca che lo Stato possa estinguere il debito e, poiché il paese è sommerso di debiti, tale rendiconto può voler dire solo una cosa: più tasse per tutti.
In linea di principio, nessun ciclo economico potrebbe mai essere avviato senza una tassazione proporzionata che consenta continuità e sviluppo economico. Anzi, imporre le tasse è del tutto doveroso in un Paese che segua una politica economica sana e che non si basi sul contrabbando, la corruzione, gli sprechi e le tangenti.
Tuttavia, in pratica, il vero cambiamento che deve prodursi è quello mentale. Solo così si può sconfiggere la corruzione e non cadere vittime delle politiche di regime che hanno caratterizzato il Libano del dopo guerra civile (1975-1990).
I politici che vogliono “cogliere l’attimo politico” e che si dicono dalla parte del popolo e contro le nuove tasse, non sono altro che dei populisti il cui unico interesse è arrivare al potere. Ma i libanesi sembrano aver capito il gioco e intendono portare avanti il vecchio progetto avviato nell’estate 2015, uno dei più importanti conseguimenti storici che ha contribuito a far emergere una precisa coscienza sociale. Chi allora voleva togliere i rifiuti dalle strade perse la battaglia, perché il tornaconto politico era più forte delle rivendicazioni.
Ma è inutile piangere sul latte versato: la “rivoluzione mentale” è più importante rispetto ai problemi materiali. Le attuali proteste in Libano porteranno a dei risultati, forse a una nuova legge elettorale, e a giovarne potremmo essere noi o le generazioni future. È questo ciò che conta.
Pierre Akiki è un giornalista libanese.
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