L’UNESCO ha decretato che oggi, 23 aprile, si festeggi la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore. Per questo, ho dovuto riflettere un po’ prima di decidere a chi dedicare l’articolo di oggi, spulciando tra i miei scaffali pieni di libri, alcuni già letti, altri ancora in attesa di essere sfogliati. Mentre facevo scorrere i miei occhi sui titoli, mi è balenato in mente un nome: Liana Badr, l’autrice e cinematografa palestinese. Fidandomi di questa sensazione ho cercato il suo libro, che sapevo di avere da qualche parte nella confusione generale che regna nella mia camera e ho deciso di palarvi di lei.
La vita di Liana Badr va di pari passo con i numerosi esodi e le dolorose tragedie del popolo palestinese, scampando solo al primo trauma della Nakbah. Nasce, infatti, due anni più tardi, nel 1950 a Gerusalemme, ma cresce a Gerico, dove rimane fino al 1967 anno della Guerra dei Sei Giorni, che si conclude con l’occupazione da parte di Israele della Cisgiordania. Con la famiglia, fugge ad Amman, ma anche in questa città la loro permanenza sarà breve: nel 1970 il re hashemita Hussein di Giordania soffoca una rivolta popolare e manda l’esercito anche in svariati campi palestinesi, la cui presenza iniziava ad essere poco gradita. In seguito a questi eventi, noti come “Settembre Nero”, i Badr, si recano in Libano, a Beirut, dove la scrittrice completa gli studi in filosofia e psicologia. La sfortuna, comune a tutto il popolo palestinese, però, sembra perseguitarli. Inizia la guerra civile e con essa anche la cosiddetta “Guerra dei campi”, che vede i campi profughi attaccati e martoriati. Inizia Tell al-Za’atar nel 1976, seguito dai massacri di Sabra e Shatila nel 1982. Proprio in seguito a questa data, Liana Badr segue l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e si reca a Tunisi, dove rimarrà fino al 1993, anno degli accordi di Oslo, quando, insieme a molti suoi connazionali si reca a Ramallah, nella speranza di riavere uno Stato Palestinese.
Come potete vedere, quindi, la sua vita scorre esattamente come quella di ogni palestinese, bistrattato da ogni luogo in cui cerchi rifugio. Questo appare con molta chiarezza nelle sue opere, siano esse composte da pagine o fotogrammi. Il tema centrale, infatti, rimane sempre la Palestina e la vita del suo popolo, esule, sofferente. Interessante ricordare anche il libro dedicato a Fadwa Tuqan e l’intervista fatta alla stessa autrice, raccolta nel documentario “Fadwa”, uscito nel 2000.
In italiano sono state tradotte poche sue opere. Una sua short story, “Veglia”, si trova nella raccolta curata da Valentina Colombo “Parola di Donna, Corpo di Donna” pubblicata nel 2005. Per fortuna, nel 2010 la casa editrice Edizioni Lavoro decide di pubblicare per la collana “L’altra riva” uno dei capolavori di quest’autrice: l’opera autobiografica “Le stelle di Gerico”, tradotto da Giulia della Gala e Paola Viviani.
Questo libro mette in chiaro fin da subito il legame che l’autrice ha con la materia, designando ad ogni capitolo il nome di un metallo, una pietra preziosa o una lega, collegandola in qualche modo agli eventi raccontati nelle pagine seguenti: così il Rame è quello delle sbarre del pullman che lasciava il suo profumo sulle mani dell’autrice, l’Oro Bianco parla di fidanzamento e matrimonio e il Piombo, che a noi richiama l’Operazione Piombo Fuso del 2008, racconta invece l’occupazione militare di Gerico.
Tanti nomi e tanti volti si affacciano nella vita dell’autrice, che ce li presenta in una maniera a mio parere particolare: rimangono quasi tutti circoscritti ad un capitolo, come se si trattasse di episodi e per questo vengono dimenticati facilmente i nomi. Liana Badr ci guida nei suoi ricordi come se fossero sogni, al cui risveglio rimangono le sensazioni e non i dettagli.
Buona lettura!
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