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Lezioni mediorientali

Fonti: The Guardian; Libération; The New York Times.

Sintesi Carlotta Caldonazzo

protesteLealtà tribale e disillusione, spirito di sopravvivenza e ricerca di visibilità, timori di derive settarie. Come le proteste del 1988 in Algeria, così le manifestazioni che dal 2011 hanno interessato buona parte del mondo arabo non risolvono: a Tunisi l’ascesa della corrente salafita ricorda l’incubo islamico del decennio nero algerino; in Egitto le divisioni tra sostenitori e oppositori del presidente Morsi scatenano violenze di piazza, con a latere episodi di scontro confessionale preoccupanti; in Siria infine gli scontri continuano, tra le divisioni settarie che rischiano di investire il vicino Libano e l’imbarazzo internazionale, e c’è chi tenta di sopravvivere al caos. Dal 1988 a oggi il vero elemento distintivo è la ricerca di interlocutori internazionali.

Parola d’ordine frattura. Questo sembra il punto d’arrivo delle proteste che da due anni interessano gran parte del mondo arabo. Dopo decenni di oscurantismo totalitario al diavolo chi ha acceso la luce, come recitava una battuta amara nella Jugoslavia post Tito. Sopito l’entusiasmo dell’unione in nome di un comune obiettivo (abbattere il tiranno corrotto) emergono dunque le differenze tra chi crede che si possa debellare la corruzione solo ricorrendo alla tradizione islamica e chi trova la soluzione nel superamento della mentalità conservatrice. In Tunisia dieci giorni fa un giovane è morto negli scontri tra i salafiti di Ansar al-Charia e la polizia alla periferia della capitale, a poche settimane dalla morte di una donna in un altro quartiere della città. Da un lato lo scontro tra il governo del partito islamico moderato Ennahda e il movimento salafita, dall’altro il conflitto tra quest’ultimo e i fautori di uno stato laico e della parità di genere.

Anche in Egitto finora è il partito salafita El Nour il movimento che ha saputo trarre il maggior vantaggio dalle proteste contro il presidente Morsi, di provenienza Fratelli musulmani, il cui primo anniversario da presidente è segnato da imponenti manifestazioni. Venerdì il movimento Tamarrod (ribellione) ha indetto cortei in diverse città chiedendo le sue dimissioni e negli scontri con i sostenitori del partito Libertà e giustizia (emanazione politica dei Fratelli musulmani) sono morte sette persone. Il conflitto tra i fautori di Morsi, che ne fanno una questione di legittimità, e i dissidenti, che riprendono i motivi delle proteste popolari che hanno rovesciato Mubarak, potrebbe rappresentare un trampolino di lancio per i gruppi vicini a El Nour, insoddisfatti dall’assegnazione dei ministeri nella compagine governativa. Tuttavia nei giorni scorsi è emerso un nuovo fronte di scontri, politici e di piazza. Il 23 giugno nella regione di Giza un gruppo di sunniti radicali (salafiti secondo le autorità locali) ha circondato la casa di un chierico sciita cercando di appiccare il fuoco. Bilancio, cinque sciiti morti e accuse di inefficienza al governo.

La Siria intanto resta un campo di battaglia e le prospettive di soluzione pacifica dello scontro tra il regime di Assad e i suoi oppositori sono alquanto labili. Soprattutto perché anziché pensare al disarmo la comunità internazionale si mostra divisa sulle modalità di sostegno all’opposizione, compreso l’invio di armi, anche se di certo il territorio siriano ne abbonda. In prima linea tra i falchi c’è il Qatar, maggior finanziatore del trasporto di armi dalla Libia, direttamente dai depositi delle milizie che hanno rovesciato il vecchio regime e che simpatizzano per i gruppi anti-Assad. Un rischio notevole visto che tra le fila di questi ultimi si annoverano gruppi islamici fondamentalisti che rischiano di destabilizzare l’intera regione, già di per sé infuocata dal conflitto israelo-palestinese e dal sistema di alleanze regionali che si è creato rispetto ad esso. Una decina di giorni fa sedici soldati libanesi sono morti a Sidone (Libano meridionale) durante gli scontri a fuoco con i seguaci di Ahmed Assir, chierico salafita locale acerrimo nemico di Hezbollah, che con l’Iran è uno dei maggiori alleati di Assad. Il caos siriano ha tuttavia un altro risvolto, esemplificato dalla storia di Abu Zayed, siriano di origini tribali. All’inizio del 2013 si era unito ai ribelli tornando in patria da Dubai, dove viveva da anni. È bastato poco tempo perché il suo entusiasmo fosse dissipato dai continui battibecchi e lotte di potere tra le figure di spicco dell’opposizione siriana organizzata in Turchia. Così ha deciso di investire tempo e denaro nel fondo di famiglia, un importante clan della Siria orientale. Un terreno arido ma ricco di petrolio e gas, che Abu Zayed è riuscito a far raffinare e a vendere. Un modo per dare un qualche ordine al caos, ha spiegato, e un modo per avere gas da esportare in Turchia e ricavarne il denaro necessario a comprare missili e droni per difendere il territorio dal regime. Intorno a campi come quello di Abu Zayed si mescolano le rigide divisioni tra gruppi politici avversi e ci sono villaggi in cui i “ribelli” aiutano il governo a mantenere in piedi gli impianti di estrazione e raffinazione in cambio della salvezza delle loro case e del permesso di prelevare carburante per se stessi e la loro famiglia.

Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Siria, come l’Algeria di fine anni ’80 sono teatro di scontri iniziati con manifestazioni di dissenso verso il regime e rivendicazione di diritti e giustizia sociale, ma finiti come terreno di lotte di potere che hanno trovato sbocco in conflitti religiosi, etnici, tribali. Rispetto agli anni ’90 tuttavia gli ultimi movimenti di protesta hanno cercato una visibilità internazionale. Non di rado si vedono e si sentono striscioni, cartelli, slogan in inglese, a richiamare l’attenzione delle grandi potenze. Se quindi in Algeria la posta in gioco era il governo locale, ora si tratta di equilibri regionali e internazionali, in cui ogni potenza reclama la propria sfera di influenza e profitto.

 

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Emanuela Barbieri

Emanuela Barbieri è specializzata in Comunicazione Digitale e Internazionale, SEO Specialist e Consulente di Marketing digitale.
Grazie alla lingua araba ha realizzato progetti ponte tra l'Italia e l'area MENA - Nord Africa e Medio Oriente -, affiancando alla laurea in Lingue e Comunicazione Internazionale una formazione in ambito digitale: siti web, SEO, digital advertising, web marketing.

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