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“L’esperienza delle Shari’a Courts nel Regno Unito” di Gabriele Mele

Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro

Il volume di cui ci occupiamo oggi è un saggio, pubblicato nel 2015 per Intermedia Edizioni, da Gabriele Mele, laureato in Giurisprudenza e vice presidente della Futura Ancislink, associazione culturale no profit.

Scopo del saggio è quello di far conoscere all’opinione pubblica italiana come nell’ambito del diritto inglese sia stato realizzato l’innesto con alcuni principi del diritto islamico, la cosiddetta Shari’a.

Nel suo studio Mele evidenzia le differenze salienti fra il diritto coranico e quello occidentale, ma illustra anche le modalità con cui nel Regno Unito si sia arrivati, attraverso un approccio pragmatico e moderno, ad innestare i due sistemi giuridici, almeno relativamente ad alcuni aspetti.

Non bisogna puntare a una confusione di civiltà ma a creare quei ponti culturali che consentano a uomini cresciuti in diversi contesti culturali di interagire e di costruire un futuro comune” scrive nell’introduzione Vincenzo Prati, Ambasciatore d’Italia in Pakistan dal 2008 al 2012.

Il libro si suddivide in quattro aree: profili essenziali del diritto islamico, applicazione del diritto islamico nell’ambito del contesto giuridico del Regno Unito, analisi e comparazione di alcuni istituti affini agli Islamic Shari’a Council britannici e in conclusione il richiamo a una prospettiva giuridica interculturale.

Ma cosa si intende per Shari’a? Essa è la legge islamica, legge religiosa di origine divina, un sistema omnicomprensivo che estende la sua influenza nella vita privata, sociale, politica e religiosa dei cittadini. Fondamento della Shari’a sono quattro fonti del diritto islamico, suddivise in fonti teologiche e scolastiche. Fonte suprema della religione e del diritto è il Corano, libro sacro che contiene le rivelazioni che Allah fece al Profeta tra il 610 e il 632 d.c. tramite l’arcangelo Gabriele. Segue poi la Sunna (tradizione) che consiste nelle pratiche e nei comportamenti assunti dal Profeta, uomo la cui condotta è ispirata da Dio. La terza fonte è l’Igma, o consenso del popolo, basata sul racconto attribuito a Maometto. Infine l’ultima fonte è l’analogia, Qiyas.

Nell’ambito della giurisprudenza islamica il Mu’almat disciplina le regole riguardanti le questioni civili, economiche e sociali. L’autore sottolinea comunque che il diritto islamico è stato in parte adattato alle esigenze di una società più moderna attraverso dei procedimenti che vanno dalla consuetudine alla convenzione, dagli stratagemmi agli interventi dei governanti. 

Un capitolo fondamentale nell’ambito del diritto islamico è quello relativo alla famiglia. Il diritto islamico entra prepotentemente e capillarmente nella disciplina dell’istituto familiare, regolandone anche gli aspetti più intimi. Il matrimonio e il suo scioglimento, il donativo nuziale e le condizioni per contrarre matrimonio, la poligamia e il ripudio, il divorzio e il matrimonio temporaneo. Tutti questi aspetti vengono dettagliatamente regolati dalla legge islamica.

In seguito ai fenomeni migratori che hanno portato nel Regno Unito un numero sempre maggiore di musulmani (indiani, pakistani, bengalesi) si è posto il problema di far convivere il diritto islamico con quello anglosassone. A partire dal 1970 il governo inglese ha adottato una politica di apertura verso le minoranze etniche, con la concessione di autonomia e libertà di organizzazione per la tutela e la promozione della propria identità culturale e religiosa. Sempre nel 1970 le Organizzazioni Islamiche del Regno Unito e dell’Irlanda hanno redatto un progetto di diritto di famiglia separato per i musulmani britannici. A partire dagli anni ’80 e ’90 si sono diffuse le Islamic Shari’a Council, corti islamiche composte da studiosi islamici che forniscono, a chi ne fa richiesta, i pareri redatti sulla base della tradizione giuridica islamica. Nel 1996 viene emanato l’Arbitration Act che si ispira agli Arbitration Tribunals canadesi, modello che fornisce ai privati una sorta di cornice legale all’interno della quale si rendono operative modalità alternative di risoluzione delle controversie.

È così che a partire dagli anni ’90 vengono istituite 85 corti islamiche dislocate in diverse zone dell’Inghilterra e del Galles. “Gli esperti che risiedono in queste corti continuano a mantenere i contatti con i loro paesi d’origine e si consultano ripetutamente con i giuristi e con gli esponenti religiosi, i quali ancora oggi vivono e operano in quei Paesi”. Naturalmente ciò determina una diversità di approccio e una eterogeneità nelle norme applicate poi nella realtà delle diverse corti islamiche.

Nel 2011 è stato emanato “The Equality Bill” che “si propone di regolamentare le lacune e le discrasie presenti nell’applicazione della normativa riguardante l’arbitrato da parte dei tribunali religiosi. Ma nessuna controversia di diritto penale potrà essere regolata dai tribunali arbitrali religiosi”.

Le 85 Shari’a Courts presenti nel Regno Unito svolgono funzioni di mediazione, conciliazione dopo il ripudio, riconoscimento dei certificati di divorzio e valutazione dei pareri degli esperti giuridici finalizzati alla soluzione di questioni di diritto musulmano. Non hanno invece giurisdizione in materia di diritto penale e su ciò che attiene il diritto pubblico.

Tuttavia tale connotazione ibrida che vede l’innesto di due differenti visioni giuridiche della famiglia, porta anche a disagi e dissidi con le norme del diritto britannico, per esempio in tema di poligamia, istituto che è stato gradualmente riconosciuto dalla legge del Regno Unito, purché i matrimoni non siano stati contratti in Gran Bretagna e rispettino le clausole previste nel Marriage Act del 1949. Anche il riconoscimento della superiorità del marito rispetto alla moglie, elemento tipico del diritto islamico, è un elemento di forte contrato con la giurisprudenza britannica.

Indubbiamente l’approccio multiculturale che caratterizza la società britannica pone allo Stato una sfida notevole rispetto al pluralismo giuridico e istituzionale. Il fattore religioso quale elemento identitario è ormai diffuso nelle società occidentali, ed europee in particolare. Diventa dunque un elemento che non può essere ignorato e come suggerisce l’autore di questo interessante saggio “Bisogna prendere definitivamente atto della natura e della qualità culturale delle diverse istanze di riconoscimento. La coerenza interna di ogni sistema culturale necessita di appositi interventi normativi in modo da poter sviluppare negoziazioni dialettiche durature”. Vale a dire, solo con il dialogo e il confronto si risolvono i problemi e si garantisce una convivenza civile e pacifica.

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