Di Hani Nakshabandi. Elaph (22/07/2012). Traduzione di Angela Ilaria Antoniello
L’Europa ha alle spalle una lunga storia di conflitti, basti pensare alla guerra dei Cent’anni e alle Crociate, ma oggi in questa situazione si trova il mondo arabo, e in particolare la Siria. Sappiamo che quello che sta accadendo in questo paese non ha niente a che fare con la democrazia e con le riforme politiche, si tratta piuttosto di una guerra settaria.
Esultiamo ad ogni azione intrapresa dall’Esercito siriano libero senza sapere da chi è composto e come possa far cadere il regime di Bashar Al-Assad. Un esercito che si definisce libero, ma ha smesso di esserlo quando è diventato schiavo del volere altrui, ha iniziato ad assecondare interessi estranei al popolo e alla libertà e, soprattutto, nel momento in cui ha trasformato la rivoluzione in una guerra religiosa. Secondo le squadre investigative internazionali, l’Esercito libero non si sta rivelando meno sanguinario di quello ordinario, eppure continuiamo ad approvarlo nell’attesa che scuota il regime di Al-Assad.
In Siria, i media arabi, specie quelli del Golfo, giocano un ruolo fondamentale nell’alimentare le differenze settarie. Tuttavia se la paura dei Paesi del Golfo per una possibile penetrazione iraniana nei territori del nord e del sud è comprensibile, bisogna anche riconoscere che far fronte a queste infiltrazioni, una volta caduto il regime, potrebbe essere tutt’altro che semplice per i paesi della regione.
Di fatto, fino ad ora ci siamo chiesti solo quando sarebbe stato definitivamente rovesciato il regime di Damasco, però la domanda più importante è: cosa accadrà dopo il crollo del regime? Crollerà anche il governo di Teheran? La destituzione di Bashar Al-Assad assicurerà una pace duratura nella regione? Infine, le divisioni settarie saranno ricomposte?