Di Nasser Jabbi (07/10/2017), Al-Quds Al-Araby, Traduzione e sintesi di Flaminia Munafò
Il 19 giugno 1965, per la prima volta nella loro vita, i cittadini algerini videro carri armati dell’esercito posizionarsi nelle piazze e nelle strade della capitale: era in corso un intervento militare per allontanare il primo presidente della Repubblica e il popolo pensò che i carri armati fossero lì per un film che si sarebbe girato sul posto. Non avevano capito che in realtà l’Algeria stava entrando nei primi anni della sua indipendenza.
Tre anni prima, grazie ad un accordo con i leader dell’esercito che, durante la guerra per la liberazione, erano diventati figure di riferimento importanti, Ben Bella era diventato presidente. Come in tutti gli eserciti del Terzo Mondo in quella fase storica, i leader militari non nascondevano la tendenza a voler organizzare un colpo di stato. Fu il colonnello Tahar Zbiri, nel 1967, a tentare di realizzarlo, senza successo, contro il Presidente e Ministro della Difesa, il colonnello Houari Boumédiène.
Boumédiène incarnava l’unità della leadership militare e politica e non permise mai ai capi dell’esercito di prendere posto nello scenario politico; al contrario, concesse un ruolo maggiore ai servizi segreti militari che in seguito divennero la mano destra del suo regime politico, un regime basato su diverse strategie volte a trattare sia con i suoi sostenitori che con i suoi avversari. Tra queste, l’uso della forza e della violenza che era già arrivato all’omicidio politico passando per la neutralizzazione politica e la corruzione delle élites alleate o avversarie.
I tentativi del presidente Chadil Bendjedid, ex comandante della seconda area militare, nel periodo dal 1979-92 non furono sufficienti per neutralizzare il ruolo dell’esercito e della riforma del sistema politico impostata da Boumédiène. L’esplosione del 5 ottobre 1988 e la crisi del 1992 contribuirono alle sue dimissioni. Il controllo dell’esercito passò dunque al Ministro della Difesa, il generale Khaled Nezzar, il quale rifiutò di assumere il potere direttamente ma continuò dietro il fronte civile ad esercitare ruoli politici fondamentali.
Tra le lezioni più importanti di questa fase c’è che la crisi politica e il fallimento delle istituzioni sono i fattori che hanno portato l’esercito a svolgere ruoli e funzioni di tipo politico, ad esempio, nell’intervento militare contro il Movimento Popolare, la risoluzione delle controversie politiche e la lotta alla violenza politica dietro ai gruppi islamici armati.
La crisi del sistema politico prosegue, gli strumenti sono peggiorati e la sua legittimità è diminuita, tuttavia l’esercito algerino è cambiato dall’interno e ciò potrebbe costituire un’occasione per uscire da questa logica storica e dal suo percorso. Ancora più importante, una seconda generazione di capi militari ha praticamente iniziato a sostituirsi a questa leadership politicizzata e carismatica la cui esperienza all’interno dell’esercito per Liberazione rappresentava la più importante stazione politica e militare. Questa nuova generazione, oltre alle sue elevate qualifiche scientifiche e militari e alla sua visione dei ruoli e delle funzioni all’interno dell’esercito, che concepisce soprattutto come professione, garantisce un percorso che sposta l’esercito algerino verso un livello più professionale.
È possibile l’incontro storico tra le due generazioni verso un sistema politico più vicino alle esigenze dei cittadini e dell’epoca? La logica della crisi politica sarà più forte o ci sarà spazio per un nuovo scenario positivo? Sono molte le condizioni a favore dell’ultima opzione, tra cui l’abilità dell’esercito dall’interno e le sue relazioni con la società. In Algeria, a differenza di altri paesi arabi, l’esercito rappresenta ancora appieno la patria e tutte le sue forze sociali, in particolare i gruppi popolari che hanno storicamente dimostrato un forte coinvolgimento nei ranghi delle forze armate.
Nasser Jabbi è un accademico e ricercatore in Scienze Politiche algerino.
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