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L’era degli stati arabi falliti

24255_7955Di Eyad Abu Shakra. Asharq al-Awsat (6/06/2013). Traduzione di Teresa Uomo. Nella settimana del quarantaseiesimo anniversario della guerra dei sei giorni del 1967, è chiaro ormai che quella guerra è stata molto peggio di quello che pensavamo. La cosa peggiore è che non siamo riusciti a trarne insegnamenti e le conclusioni sono tragiche. Per poi essere delusi da un altro “terremoto”, vale a dire l’illusione della “vittoria” nell’ottobre del 1973 della guerra dello Yom Kippur.
Se consideriamo la situazione nella regione araba oggi, è chiaro che abbiamo commesso un grosso errore ignorando due fatti fondamentali necessari per qualsiasi risveglio: rispettare i diritti umani, e proteggere e salvaguardarli attraverso le istituzioni e i meccanismi che consentono una transizione graduale e sistematica del potere. Oggi molti paesi, anche in Europa, “la madre delle democrazie”, stanno ridisegnando i loro confini in un modo o nell’un altro senza influenzare negativamente i diritti umani. Ma a quanto pare, questo sta avendo un impatto positivo sui diritti umani.
Václav Havel non ha utilizzato l’esercito per mantenere i confini della Cecoslovacchia, rispettando quelli che erano desiderosi di separarsi dalla Repubblica Ceca in modo amichevole. Questo è un passo i cui effetti negativi sono stati alleviati dall’espansione dell’Unione Europea.
Negli ultimi anni la Scottish National Party (SNP) in Gran Bretagna si batte per l’indipendenza della Scozia. D’altra parte, l’UK Independence Party (UKIP) attiva campagne, in altre parti della Gran Bretagna, per il ritiro del Regno Unito dall’Unione Europea. In Spagna c’è una competizione costante tra gli attivisti per l’indipendenza dalla federazione spagnola e quelli che richiedono un ulteriore consolidamento della federazione corrente. Dopo anni di violenze inutili nei Paesi Baschi, la maggior parte delle persone ha votato contro la piena indipendenza, smentendo le affermazioni e le proteste dei fautori della violenza.
Quarantasei anni dopo la guerra del 1967, siamo di fronte ad un pericoloso aumento del numero di “stati falliti” in tutta la regione araba. Ci sono progetti, alcuni dei quali sono già in corso, per il partizionamento e la divisione di paesi come Iraq, Siria, Libano, Sudan, Yemen e Libia. Altri paesi non sono immuni da tensioni interne derivanti da un discorso di partizione e frammentazione simile a quella che ha sconvolto il concetto stesso di “stato” come lo conoscevamo, dando così origine ai cosiddetti “stati falliti”.
Assoluto sostegno americano a Israele per “mantenere l’equilibrio strategico” in Medio Oriente durante la Guerra Fredda, Washington ora cerca apertamente di “mantenere la superiorità militare di Israele”, senza fermare le sue attività di insediamento. Inoltre, il monopolio degli Stati Uniti del politico “gioco” nella regione, come Sadat diceva, serve solo per aprire le porte all’estremismo arabo-islamico.
Oggi il modo in cui la Russia si sta occupando della tragedia siriana non è diversa dalla posizione che gli Stati Uniti ha sempre adottato nei confronti della crisi palestinese. Ciò che ci troviamo di fronte oggi è una brutta situazione piena di arroganza, ostinazione e indifferenza per la sofferenza del popolo siriano.
Abbiamo anche sentito il commento di questa settimana di Vladimir Putin, che qualsiasi tentativo di intervenire militarmente in Siria è “destinato a fallire”, mentre il segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry ha espresso ancora una volta “preoccupazione” per la situazione in Siria. Tutti questi commenti servono solo ad aggravare la situazione, incitando all’estremismo.