Di Ismael Monzón. El País (30/01/2015). Traduzione e sintesi di Carlo Boccaccino.
Sono almeno 27 le persone morte a seguito di una serie di attacchi sferrati giovedì scorso nel Sinai del Nord contro le forze di sicurezza egiziane e rivendicati da Daish (conosciuto in Occidente come ISIS). Si è trattato di un’offensiva coordinata, secondo quanto riporta sul proprio sito il quotidiano egiziano Al-Ahram: 25 persone tra civili e militari hanno perso la vita a seguito delle prime esplosioni ad Al-Arish, capoluogo del Sinai, mentre un ufficiale è morto dopo uno scontro a fuoco con alcuni miliziani a Rafah, ad alcuni chilometri da Al-Arish e al confine con la Striscia di Gaza. Durante un terzo attacco, invece, nella città di Suez è rimasto ucciso un altro poliziotto a causa dell’esplosione di una bomba. Ci sarebbero inoltre almeno altre 36 persone ferite.
I media locali affermano che la serie di attentati aveva come obiettivo la sede del dipartimento di sicurezza di Al-Arish, che sarebbe stata completamente distrutta. Nella zona, piena di posti di blocco, si sarebbero verificati ulteriori scontri. La sede della sicurezza era vuota a seguito di un altro attentato che a ottobre costò la vita a 31 soldati delle Forze Armate e pertanto le vittime, tra cui c’è un numero imprecisato di civili, sono da essere attribuite ad altri attacchi.
Gli attacchi nel Sinai sono una costante a seguito del colpo di Stato del luglio 2013, durante il quale l’allora ministro della Difesa, nonché attuale presidente, Abdel Fattah El Sisi depose Mohamed Morsi. Questa zona disabitata è la roccaforte principale dei jihadisti egiziani, che alcuni mesi fa hanno giurato fedeltà al Daish attraverso l’organizzazione Ansar Bait al-Maqdis.
Al momento la polizia ha ristretto l’accesso al Sinai, mentre l’esercito – che lavora da mesi su questo territorio grazie ad un accordo tacito con Israele, visto che l’area è stata ufficialmente demilitarizzata con gli accordi di Camp David del 1979 – si sta impegnando a cercare i responsabili nella zona. Da tre mesi le autorità egiziane hanno decretato lo Stato d’eccezione in tutto il Sinai settentrionale e hanno applicato a intermittenza il coprifuoco. Nelle ultime settimane stanno anche setacciando il territorio egiziano più vicino a Gaza, dove stanno provando a creare una zona cuscinetto, in quanto credono che in quest’area, attraverso i tunnel, si intrufolino i combattenti e si traffichino armi.
Secondo gli ultimi dati ufficiali del ministero dell’Interno, risalenti a metà dell’anno scorso, fino a quel momento circa 500 soldati delle forze di sicurezza sono morti in imboscate tese da terroristi. Inoltre, negli ultimi mesi, gli attacchi si sono fatti sempre più sofisticati. A seguito di ogni scoppio di violenza nel Sinai, il Governo ha applicato nuove misure restrittive. A ottobre praticamente tutta la stampa locale ha firmato un accordo per evitare qualsiasi critica al regime nella sua “lotta contro il terrorismo”. Da quando domenica scorsa si è commemorato il quarto anniversario della rivoluzione contro Hosni Mubarak, almeno 27 persone sono morte a causa della repressione attuata dalla polizia durante manifestazioni di piccole dimensioni. Nell’ultimo anno e mezzo queste repressioni sono costate la vita a più di tremila persone e hanno provocato circa 41.000 arresti.
Ismael Monzón è un opinionista e giornalista free-lance egiziano.
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