L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (24/02/2014). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.
Sono state addotte numerose ragioni e spiegazioni, ma il risultato è uno: il governo di Hazem El Beblawi doveva presentare le proprie dimissioni, a causa di una situazione che, se si fosse protratta, avrebbe rappresentato un vero pericolo per la sicurezza nazionale egiziana.
Forse l’intensificarsi degli scioperi di categoria negli ultimi giorni ha accelerato tale decisione, che si ipotizzava venisse rinviata fino all’elezione del nuovo presidente. Il Paese era ormai sull’orlo della paralisi per via degli scioperi che hanno coinvolto settori vitali come il trasporto pubblico e gli ospedali, industrie fondamentali come quella tessile e persino l’apparato amministrativo. È chiaro che il problema per il governo non era più solo la mancanza di risorse finanziarie necessarie a soddisfare le richieste dei lavoratori, ma anche la perdita di credibilità, per le promesse non mantenute fatte agli scioperanti.
Trattandosi di una questione di sicurezza nazionale, è probabile che la decisione di destituzione/dimissioni sia arrivata da un’autorità superiore al governo, al primo ministro e allo stesso presidente della Repubblica ad interim. La suddetta autorità ha ritenuto che qualsiasi rimpasto, mantenendo El Beblawi al potere, non avrebbe permesso di recuperare il prestigio e la credibilità del governo, né di affrontare le varie crisi. Poiché il generale El Sisi è incaricato delle questioni di sicurezza, è naturale che non sia estraneo a questa decisione. Dal momento che la presenza di El Beblawi contribuiva a minare la credibilità dell’intero sistema politico, e anche “del possibile candidato alla presidenza”, la sua destituzione si può considerare, senza esagerare, “la prima decisione presidenziale” di El Sisi.
È vero che questo governo ha affrontato sfide eccezionali in condizioni difficili e senza precedenti nella storia dell’Egitto, tuttavia questo non lo esime dalla responsabilità degli errori commessi. Innanzitutto, il governo non è riuscito ad attuare l’unico programma economico che interessava i cittadini, cioè il salario minimo. Inoltre è stato esposto alle pressioni dei mezzi di comunicazione per la vicenda legata ai Fratelli musulmani. Infatti, malgrado avesse annunciato che solo la magistratura poteva prendere una decisione simile, lo scorso dicembre il governo ha dichiarato la Fratellanza “un’organizzazione terroristica”, salvo poi chiarire di non possedere gli strumenti atti ad applicare concretamente tale decisione. Infine il governo ha ignorato le enormi sofferenze quotidiane dei cittadini, limitandosi a perseguire gli oppositori e i manifestanti. Il deterioramento dell’economia egiziana emerge chiaramente dall’indice mondiale delle libertà economiche relativo al 2014, dove l’Egitto occupa il 135° posto a livello mondiale.
La soluzione comunque non può consistere solo nella “formazione di un nuovo governo, per quanto possa essere maturo”. Qualsiasi soluzione reale deve essere politica e di natura globale, senza però sminuire la gravità dei problemi dell’economia che non può vivere di aiuti stranieri, considerati inoltre dagli egiziani un’offesa alla loro dignità nazionale. Comunque, per la prima volta da tempo, c’è stato un consenso generale nell’accogliere la destituzione di El Beblawi, benché per motivi diversi.
La scomparsa di questo governo, nato da divisioni politiche, massacri e arresti, segnerà forse il ritorno del consenso sulle sponde del Nilo?
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