Di Francisco Moscoso Garcia. Roostergnn (19/02/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.
Ceuta è una città sotto la sovranità spagnola situata nell’Africa del Nord, sullo Stretto di Gibilterra. Ha al momento oltre 77 mila abitanti e una cittadinanza spagnola bilingue del quasi 40 percento. Per bilingue si intendono coloro la cui lingua madre o nativa è l’arabo ceutino, mentre lo spagnolo è seconda lingua. L’arabo ceutino appartiene alla zona dialettale Nord del Marocco e dunque condivide alcuni tratti con questa regione linguistica, che va dalla zona di Yebala alla costa atlantica, fino più o meno a Larache.
Tutto ciò, di pari passo con la situazione all’interno delle frontiere spagnole, conferisce alla lingua uno status concreto che ce la può far presentare come lingua del territorio spagnolo accanto alle altre. La popolazione bilingue ha accesso alla nazionalità spagnola a partire dal 1986 – anche se la sua presenza va situata alla fine del XIX secolo – come frutto del dibattito che ha scatenato la pubblicazione della Ley de Extranjerìa promulgata un anno prima (cfr. Ana Planet – Melilla y Ceuta, espacios-frontera hispano marroquìes, 1986).
Colpisce che nello Statuto di Autonomia della città (1995) non si faccia riferimento alla sua ricchezza linguistica. Si parla infatti solo di pluralità culturale: ciò genera un impoverimento culturale generalizzato a livello istituzionale. I partiti nazionali PP e PSOE si oppongono a qualunque tentativo di riconoscimento nella riforma dello Statuto; il gruppo locale Coalición Caballas, invece, lo chiede apertamente.
Del resto, la Costituzione spagnola recita: “1. Il castigliano è la lingua spagnola ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla ed il diritto di usarla. 2. Le altre lingue spagnole saranno altrettanto ufficiali nelle rispettive Comunità Autonome d’accordo coi loro Statuti. 3. La ricchezza delle diverse modalità linguistiche della Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e protezione”: è il caso del gallego, del basco e del catalano.
Insomma, anche se l’arabo ceutino deve essere ancora riconosciuto, si sta violando apertamente un principio costituzionale nella città di Ceuta. Si tratta di una lingua penalizzata che è assente dalle istituzioni ufficiali del governo spagnolo nella città, a cominciare dalle scuole. Ceuta continua a detenere il primato della Spagna rispetto all’insuccesso scolastico: il dato è ancora più accentuato nelle scuole in cui la presenza spagnola che ha come lingua nativa l’arabo è maggiore.
Ci troviamo dinanzi a una lingua orale che non è stata normalizzata né codificata, ma farlo non è impossibile. Nel caso di Ceuta, l’arabo lingua nativa è l’arabo ceutino: bisognerebbe puntare di più su una coscienza linguistica da parte degli abitanti, creando una sorta di Accademia della Lingua Araba Ceutina che riceva l’appoggio delle istituzioni educative e politiche. Il riconoscimento dell’arabo ceutino è parte integrante delle pratiche per una convivenza interculturale, strumento contro l’intolleranza e il razzismo istituzionali.
Come scrive Sami Nair, nel suo libro “La Europa mestiza. Inmigración, ciudadanía, codesarrollo” (2010), “l’Europa deve scegliere la via statunitense o la via brasiliana: o andare verso una società di segregazione etnica, razzista, o andare verso una società che si accetta e fa della sua diversità etnica la propria identità. Una società non di differenze, ma meticcia, una società in cui l’immagine che il popolo ha di sé stesso corrisponde alla sua diversità”.
E che la mescolanza di culture in Europa sia inevitabile, è qualcosa di palpabile in qualunque grande città in cui ci troviamo. Perdersi nella rivendicazione di un passato cristiano con presunte radici di ciò che oggi conosciamo come società europea è – senza tralasciare di riconoscere la Storia – non voler avanzare nella costruzione delle nostre società.