L’Arabia Saudita e il petrolio: massimi proventi e costi minimi

Di Hassan Ahmari. Elaph (06/08/2012). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi

Riyadh. Secondo un rapporto pubblicato recentemente da un giornale saudita, nei primi sette mesi del 2012 il petrolio ha fatto guadagnare all’Arabia Saudita quasi 175 milioni di dollari, cifra destinata a stabilire un record entro la fine dell’anno.

L’Arabia Saudita produce ogni giorno 10 milioni di barili di greggio ma ha una capacità produttiva di 12 milioni. Le ultime statistiche di Saudi Aramco dicono che 2,5 milioni circa sono destinati al consumo interno. Dal 2008, si registra un aumento della domanda, specie da parte di Cina e India ma anche di altri paesi esportatori di prodotti industriali.

I costi di estrazione sono i più bassi al mondo, con un guadagno netto maggiore anche quando il prezzo del petrolio scende perché diminuisce la domanda. L’Arabia Saudita mantiene il livello produttivo mentre altri paesi lo abbassano. Ma se l’offerta di petrolio cala, la domanda sale e anche i prezzi, a beneficio sempre del regno saudita.

L’Arabia Saudita ha un ruolo di leader nel mercato petrolifero poiché, quando le forniture si abbassano a causa di eventi politici o guerre e gli altri paesi non riescono a completare la produzione, il regno fa ricorso alla capacità produttiva non sfruttata (2 milioni di barili di greggio al giorno) o, nei casi più estremi, alle riserve strategiche. Attualmente, dunque, non ci sono rischi economici o politici legati al processo produttivo ma il problema risiede nel lungo termine, cioè nell’esaurimento delle risorse petrolifere e nella ricerca di fonti alternative da parte dei paesi avanzati.

Il petrolio costituisce il 70% delle esportazioni e i suoi proventi il 90% del PIL saudita. I piani di sviluppo messi a punto dal ministero prevedono la necessità di limitare l’affidamento esclusivo sul petrolio ma la loro applicazione non è integrale. Inoltre, non è nella cultura del saudita produrre petrolio, ma solo consumarlo.

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