Articolo di Roberta Papaleo
Lo scorso luglio, l’Istituto Europeo Mediterraneo di Barcellona (IEMed) ha diffuso il suo quinto sondaggio annuale sulla situazione e sulla percezione delle politiche euro-mediterranee. Condotto intervistando più di 800 tra esperti, leader di opinione e ricercatori dell’ambito regionale, il sondaggio ha mostrato due tendenze contrastanti: un cieco ottimismo per lo sviluppo di tali politiche sul lungo termine, soprattutto in tema di governance e cooperazione socio-economica, affiancato da una pessima valutazione dell’impatto dell’implementazione di tali politiche negli ultimi anni.
Perché?
Da un lato, per via dalla natura stessa della risposta dell’Unione Europea ai cambiamenti introdotti dalle rivoluzioni arabe, considerata inadeguata sin dalla sua elaborazione: inadeguata perché non differenziata, perché troppo omogenea per applicarsi ad un contesto che si era dimostrato essere tanto eterogeneo, nonché poco innovativa rispetto alla politica tradizionale del Partenariato Euro-mediterraneo. Di qui il secondo aspetto: i diversi percorsi intrapresi dai vari Paesi mediterranei non hanno permesso alle politiche europee di andare lontano. Infatti, come emerge da uno dei risultati principali del sondaggio, è stato l’andamento sbilanciato degli sviluppi nella regione a influenzare il successo di queste politiche. Basti pensare a come Paesi quali Tunisia e Marocco hanno affrontato la rivoluzione popolare, contro altri come la Siria prima e l’Iraq poi, per i quali al momento non è possibile intravedere delle prospettive positive, tantomeno sul lungo termine.
Come mostrato dal sondaggio e a differenza dell’approccio postulato dall’UE, si percepisce la creazione di una maggiore multipolarità nella regione: un Mediterraneo trasformato e in continua trasformazione. Di fatto, sin dalla primavera araba, la regione non ha più mantenuto la stabilità solita del periodo delle ex dittature. Anche dove queste si sono mantenute, come in Siria, la situazione è comunque andata cambiando. La militanza di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS), inoltre, costituisce oggi un’ulteriore minaccia non solo per l’integrità e la sicurezza del mondo arabo, ma anche per quella dell’Europa, tanto direttamente quanto indirettamente.
Detto ciò, dal sondaggio dell’IEMed emergono due elementi chiave: primo, il bisogno di riconsiderare le ampie (forse troppo) ambizioni che sostengono gli obiettivi dell’UE nella regione; secondo, e di conseguenza, la necessità di ripensare le priorità delle politiche comunitarie nel Mediterraneo, introducendo davvero un approccio Paese per Paese. Di fatto, questa era l’idea alla base della risposta europea ai cambiamenti nel mondo arabo, ma essa si è rivelata efficiente solo dal punto di vista dello sviluppo economico e dei mercati, attraverso l’introduzione della cosiddetta Deep and Comprehensive Free Trade Areas, ovvero di nuovi accordi bilaterali di libero scambio regolanti tutte le questioni inerenti agli scambi commerciali. Non a caso, questa iniziativa è tra quelle che sono state valutate più positivamente dal sondaggio, anche se del resto tali accordi di nuova generazione sono stati conclusi solo con alcuni dei partner mediterranei (come Marocco, Tunisia e “l’intrusa” Giordania).
A questo proposito, sarà necessario inoltre operare una ridefinizione geografica del “vicinato”: basti pensare all’influenza degli eventi che stanno sconvolgendo l’Iraq o al peso del ruolo dell’Iran nella scacchiera mediorientale e mediterranea: non a caso, dal sondaggio emerge che a livello internazionale è proprio la Repubblica Islamica ad essere considerata il terzo Paese più influente nella regione, accanto a Russia e Stati Uniti.
Quanto all’impatto della sola Unione Europea, gli esperti consultati affermano che essa conserva un impatto positivo sulle dinamiche geopolitiche della regione, benché in modo parziale. Infatti, mentre l’Unione continua ad essere il maggior partner dei Paesi mediterranei a livello economico (appunto), il suo ruolo come mediatore di pace è quasi pari a zero: un dato chiaramente confermato dal recente conflitto a Gaza, dove è stata la forza diplomatica dell’Egitto a costituire il vero motore della mediazione della tregua tra Israele e Hamas. Anche in questa occasione, le autorità comunitarie si sono limitate a condannare le violenze e la morte di civili innocenti, senza però prendere dei provvedimenti concreti in merito.
A questo proposito va infine segnalato che, come l’UE ha bisogno di riformulare un approccio Stato per Stato, essa ha anche bisogno allo stesso tempo di imporsi diversamente nella regione: dal sondaggio emerge che il basso profilo e la cattiva reputazione delle politiche UE sono anche sintomo della mancanza di un approccio davvero unitario da parte degli stessi Stati membri nei confronti del vicinato meridionale. In sostanza, va operato un processo quasi inverso a quello attuale: più omogeneità da parte dell’UE, in termini di Stati membri e non solo di istituzioni, nell’affrontare le problematiche e le sfide di una regione che è invece ormai molto più eterogenea, frammentata e particolareggiata che in passato.