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La vuota vittoria della Libia su Daesh

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I libici stanno per ottenere la tanto attesa vittoria su Daesh (ISIS). Allora, perché nessuno sta festeggiando?

Di Tarek Megerisi. Foreign Policy (28/11/2016). Traduzione e sintesi di Claudia Negrini.

Anche se il resto del mondo non lo sta notando, i libici stanno per ottenere la tanto attesa vittoria su Daesh (ISIS). Per mesi le milizie locali, sostenute da alleati internazionali, hanno circondato le forze degli estremisti nella città costiera di Sirte, lasciando ai combattenti di Daesh un’area più piccola di un chilometro quadrato.

Nonostante ciò, però, il clima è ben lontano da quello festoso del trionfo. Il motivo è semplice: la vittoria a Sirte avrà, in realtà, pochi effetti positivi sul vacuum di potere del Paese. Quando Daesh ha conquistato la città nel giugno 2015, molti osservatori hanno sperato che la minaccia avrebbe messo d’accordo le miriadi di frazioni belligeranti in Libia. L’esigenza di colpire in maniera efficace Daesh, sarebbe stato il catalizzatore per l’unità.

Non ha funzionato, però. Al contrario, i centri di potere della Libia in competizione – dal Generale Haftar e il suo governo ad est, al governo di Tripoli, sostenuto a livello internazionale, fino all’estremista Gran Mufti Sadiq al-Gherian – hanno cercato di sfruttare la minaccia di Daesh, per portare avanti i loro fini personali. Ogni gruppo sapeva perfettamente che anche solo fare finta di combattere Daesh avrebbe garantito il sostegno internazionale e avrebbe rafforzato la sua pretesa di legittimità. Finora nessuno ha dispiegato reali risorse né uomini per combattere una minaccia percepita come secondaria ai loro oppositori interni.

Nel frattempo, le potenze occidentali, che erano così desiderose di colpire il bersaglio, non hanno considerato i loro interessi a lungo termine in Libia, quelli sanciti dalla Missione di Supporto in Libia delle Nazioni Unite (UNSMIL), un’iniziativa speciale del Consiglio di Sicurezza. L’obbiettivo dell’UNSMIL era quello di integrare diversi interessi occidentali in una politica coesiva per combattere il terrorismo e il traffico di persone, cercando intanto di convincere i politici libici a fare fronte comune per la creazione di un vero governo nazionale. Paradossalmente, però, alcuni Stati che hanno originariamente sostenuto l’UNSMIL – come Francia e Stati Uniti – hanno creato degli ostacoli: hanno fatto squadra con i singoli gruppi armati e sancito delle brevi alleanze di convenienza con persone come Haftar e altri, autorizzandoli di fatto a continuare a operare al di fuori dei tentativi dell’ONU di stabilizzare e unificare il Paese.

Date le circostanze, è un miracolo che la liberazione di Sirte sia a portata di mano. L’operazione, però, è intervento ad hoc, lanciato questo stesso anno da un’alleanza di milizie che si sentivano minacciate da Daesh. Anche se inizialmente si è mostrata un’ottima soluzione, la loro strategia di circondarlo e di avanzare ha portato, col tempo, a numerose perdite e poi allo stallo.

In ogni caso, è ancora presto per festeggiare. Le condizioni che ha permesso la penetrazione di Daesh non sono cambiate: lo Stato è privo di poteri, l’economia non funziona e il Paese è afflitto da violenza e instabilità, che fanno della Libia il perfetto terreno di coltura di numerose altre minacce.

La presa di Sirte non sarà la fine di Daesh, che ha altre cellule sparse per il Paese. Probabilmente l’organizzazione tornerà a uno stile più tradizionale di terrorismo, che colpisce i centri abitati, le accademie di polizia e le basi delle milizie con attacchi suicidi.

Non sono solo i terroristi ad avere vantaggi dall’anarchia generale, ma ne approfitta anche il mercato nero. Il Paese ha una lunga tradizione di contrabbando, che fino a poco tempo fa trattava beni di prima necessità, come benzina e zucchero. Adesso però, si parla di contrabbando di persone e di armi, visto che l’economia è paralizzata.

L’unica soluzione sembra essere ribadire le priorità dell’UNSMIL, lavorando ad un accordo genuino di condivisione di poteri. A livello interno, ciò significa un impegno credibile con la comunità, con i leader delle tribù, con i comandanti delle milizie, con i leader delle fazioni e con istituzioni chiave come la Banca Centrale e la Compagnia Nazionale del Petrolio. A livello internazionale, vuol dire rinforzare l’embargo sulle armi e ribadire che l’ONU è l’unico canale di diplomazia internazionale in Libia.

A meno che la comunità internazionale non riesca creare e mantenere una politica esaustiva per la creazione di una nuova stabilità in Libia, la liberazione di Sirte rischia di essere poco più di un contrattempo nella discesa del Paese verso una guerra civile senza fine.

Tarek Megerisi è un analista politico e ricercatore specializzato in politiche, governance e sviluppo del mondo arabo.

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