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La Turchia sta pagando per la sua inclinazione a Oriente?

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Ankara ha capito di vivere in un periodo travagliato, forse il più pericoloso dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano, un minaccia per l’AKP, partito al potere dal 2002

Di Mohamad Kawas. Al-Arab (06/01/2017). Traduzione e sintesi a cura di Raffaele Massara.

L’attentato di inizio anno nel locale notturno di Istanbul andrebbe inserito nella serie di attacchi lanciati dall’organizzazione terroristica Daesh (ISIS) in varie parti d’Europa. Ma la Turchia non è un Paese qualsiasi da attaccare e “terrorizzare”: le autorità turche parlano di piani criminali atti a minare l’unità nazionale e a cancellare il Paese, il presidente Erdogan arriva addirittura ad accusare alcune “fazioni”.

L’ultimo attacco ha reso ormai evidente che tra Turchia e Stato Islamico sia guerra aperta, e che il territorio turco sia stato da sempre usato dai terroristi del sedicente califfato come “santuario” logistico per il reclutamento e lo stazionamento di alcuni suoi elementi, compreso l’esecutore dell’ultima sparatoria.

Fatto sta che né questo, né i precedenti attentati, faranno fare marcia indietro al governo di Ankara nel proseguire le operazioni militari “antiterrorismo” sostenute da tutti i partiti in parlamento.

L’attentato di Istanbul potrebbe dare nuova risonanza e sostegno internazionale al Paese: la Turchia non è solo l’ultima vittima del terrorismo, ma colei che lo sta combattendo in prima linea. Ciò permette ad Erdogan di avanzare nuove richieste al livello mondiale e condurre operazioni militari turche nel nord della Siria a suo piacimento: per “proteggere l’Europa”, come ha dichiarato persino il ministro della Difesa francese.

Ma la Turchia è un Paese che deve ancora riappacificarsi socialmente dal tentato golpe di luglio: è in corso una guerra, quasi civile, tra il governo e lo “Stato parallelo” che ha sostenuto il principale cospiratore, l’imam Fetullah Gülen. Ma dietro questa guerra ci sono anche i continui tentativi, da parte del presidente, di modificare a suo favore la Costituzione, ottenendo più poteri.

Dando anche per vera la versione governativa che vuole Gülen, Daesh ed i curdi a minacciare la società turca, è vero che le inclinazioni a est di Ankara, i nuovi legami con Mosca in particolare, insospettiscono non solo i Paesi “occidentali” ma anche l’Iran, principale alleato della Russia, e ribaltano i rapporti di forze a livello globale.

Ankara giustifica questo avvicinamento accusando i suoi alleati NATO di non collaborare con essa né proteggerla contro il terrorismo, precisamente in tre casi:

  1. il mancato sostegno negli ultimi scontri in Siria, sostegno arrivato invece dall’aviazione russa;
  2. il sostegno alle forze curde in campo in Siria, alleate però del PKK, organizzazione nemica di Ankara;
  3. la mancata estradizione di Gülen, da parte degli Stati Uniti (l’imam risiede da anni in Pennsylvania).

Ciò motiverebbe il “guardare ad est” di Erdogan: la Russia di Putin, Assad, l’Iraq… Nient’altro che realismo politico o Machiavellismo.

Mohamad Kawas è un giornalista e conduttore televisivo libanese.

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