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La Turchia e la tolleranza temporanea

Assafir (09/07/2012). Traduzione di Cristina Gulfi

L’istituto teologico di Halki, fondato del 1844 come centro di formazione della chiesa ortodossa, nel corso del tempo è stato un esempio di tolleranza religiosa sia da parte dell’impero ottomano che della repubblica turca. Tuttavia, nel 1971 Ankara ne ha deciso ha chiusura in seguito ad una sentenza della Corte Costituzionale, la quale era composta perlopiù da seguaci di Mustafa Kemal Ataturk, il padre della repubblica.

Quando nel marzo scorso il premier turco Erdogan ha annunciato la fine dei lavori di restauro e la prossima riapertura dell’istituto, è sembrato che il partito Giustizia e Sviluppo, al governo dal 2002, avesse l’intenzione di attuare un’agenda riformista per rendere la società turca più aperta attraverso il consolidamento e l’ampliamento della libertà individuale, religiosa ed economica.

Tuttavia, a maggio il governo ha dichiarato che taglierà il sostegno finanziario alle arti, ben 63 milioni di dollari all’anno in meno, il che vuol dire la chiusura di più di 50 teatri e installazioni artistiche in tutto il paese. Si tratterebbe di una forma di mecenatismo moderno dello stato che favorisce l’iniziativa privata. Secondo l’opposizione, invece, è una forma
di censura nei confronti dell’arte, che attraverso le sue diverse espressioni non ha mancato di criticare aspramente il governo.

Da quando il partito Giustizia e Sviluppo è al potere, il mondo guarda alla Turchia per capire se i suoi sforzi in senso democratico sono seri o ne sta solo abusando. Il miglior modo per poterlo fare è chiarire il concetto stesso di democrazia. Robert Dahl, professore emerito di scienze politiche presso l’università di Yale, sostiene che questa è determinata dalla misura in cui i cittadini possono partecipare alla vita civile ed opporsi all’autorità del governo. Ecco come la considerazione di ogni singolo fattore ci rivela la causa del paradosso turco.