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La soluzione al problema dell’immigrazione? Rigettare gli immigrati in mare

Immigrazione

L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (07/08/2015). Traduzione e sintesi di Alice Bondì.

Ci sono alcuni segnali che indicano il delinearsi di un nuovo approccio alla questione dell’immigrazione irregolare, sintetizzabile nell’atto di impedire, a chi lascia il proprio Paese, di raggiungere altri confini. Anche se questo comporta la morte di centinaia o di migliaia di loro in mare.

Lo scorso giovedì Peter Dutton, il ministro dell’Immigrazione australiano, ha dichiarato che da quando sono state introdotte le nuove controverse misure per proteggere le frontiere, alla fine del 2013, l’Australia ha respinto più di 600 richiedenti asilo che cercavano di raggiungere le sue coste, rimandandoli indietro verso l’Indonesia e nei campi dell’isola di Papua Nuova Guinea e nell’isola di Nauru, nel Pacifico meridionale, per la detenzione prolungata. Le Nazioni Unite e le associazioni per la tutela dei diritti umani hanno criticato il Paese per le severe politiche adottate, definite “necessarie” dal primo ministro australiano, il conservatore Tony Abbott.

Anche in Europa è aumentato il sostegno per queste linee politiche: il progetto sarebbe di condurre operazioni militari nel Mediterraneo e impedire l’arrivo delle imbarcazioni degli immigrati verso le coste europee. Secondo quest’ottica, così facendo circa mezzo milione di immigrati provenienti delle coste settentrionali dell’Africa ci penserebbe due volte prima di gettarsi in mare verso l’Europa. 

Tuttavia, vi è una controversia legale che infuria ancora e riguarda la legittimità di tali politiche, soprattutto in termini di violazioni delle convenzioni internazionali in materia, dato che molti di quegli immigrati fuggono da conflitti armati e hanno quindi diritto di chiedere asilo per legge. 

Secondo alcuni rapporti britannici, il piano di intervento militare europeo comprenderà operazioni di attacchi aerei e, forse, anche lo schieramento di forze di terra in Libia per eliminare le reti di trafficanti.

Si percepisce, quindi, che si sono verificati dei cambiamenti evidenti, negli ultimi mesi, riguardo le politica sulla questione dell’immigrazione: gli immigrati sono considerati una seria minaccia per la sicurezza, e non soltanto per una questione di budget costosi per i servizi sanitari e assistenziali. 

Nel frattempo, la situazione si aggrava ulteriormente per circa tremila immigrati nella città di Calais, nel nord della Francia: recentemente alcuni di loro sono morti mentre cercavano di attraversare i confini verso l’Inghilterra.

L’Alto Commissariato per i Rifugiati ONU (UNHCR) stima che quest’anno sono arrivati circa 124 mila profughi e immigrati dalla Turchia alla Grecia. Ma il governo greco ha rilanciato le accuse sostenendo che sta affrontando questa crisi con il massimo impegno.

A fornire una nuova prova della gravità della situazione è l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che, lo scorso martedì, ha annunciato che il numero di migranti morti nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno ha raggiunto la soglia dei duemila, superando il numero di vittime registrate nello stesso periodo dello scorso anno.

Intanto fra le accuse reciproche e chi insiste per andare avanti con le politiche della “soluzione finale” e risolvere il problema prima che gli immigrati raggiungano “le coste del paradiso europeo”, il mondo non si preoccupa delle vittime che continuano a morire in mare.  Pertanto, la “civilizzata società umana” che permette una tale liquidazione di massa in mare, come può semplicemente allontanare i ricordi tragici?

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