Di Ola Abbas. Al-Araby al-Jadeed (11/04/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.
La Siria degli ultimi cinque anni potrebbe essere raccontata in mille modi e da altrettanti punti di vista. Potremmo, ad esempio, narrare gli ultimi avvenimenti nel paese con riferimento all’interferenza politica estera o alla penetrazione militare esterna e, in tal caso, il racconto assumerebbe le caratteristiche di un opuscolo teatrale, presentando gli eserciti stranieri per ordine di apparizione. Ancora, il racconto potrebbe riferirsi al contesto economico, con il crollo della moneta nazionale oppure alle ondate migratorie, dettate dalle decisioni internazionali e dai vari negoziati fallimentari.
Sono dunque diversi i modi attraverso cui riassumere la tragedia siriana degli ultimi anni. Tuttavia, parlare della Siria attraverso linee rosse sembra essere uno dei procedimenti più apprezzati, e per diverse ragioni. In primo luogo, perché la linea rossa rimanda ad un baratro collettivo; in secondo luogo, essa implica, ogni volta, un avvenimento drammatico, che preannuncia un’eccezionale escalation di eventi. La terza ragione vede l’emanazione di una linea rossa come lo strumento atto ad elevare il livello di entusiasmo della gente al punto tale da essere incoraggiata ad intraprendere azioni o prendere posizioni precise. Nello specifico, allorché viene designata una particolare linea rossa si instaura una condizione generale di frustrazione che conduce ad uno stato di sconforto collettivo, richiesto, sembra, dal contesto internazionale.
In Siria si è parlato di linea rossa per la prima volta in riferimento alla città di Hama, come descritta dal presidente turco, Recep Tayyep Erdoğan, nelle prime settimane della rivoluzione. Nelle sue parole, la Turchia non avrebbe permesso una situazione analoga a quanto vissuto dalla città negli anni ’80. Nelle settimane successive, il regime siriano si è macchiato di uno dei più grandi crimini mai commessi fino a quel momento: il massacro di Hama ha causato la morte di più di 150 manifestanti radunatisi in piazza Assi nel centro della città. I siriani allora si aspettavano un intervento della Turchia e, purtroppo, sono ancora in attesa.
Alcune settimane dopo, la Russia e la Cina disegnano una nuova linea rossa presso la sessione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, chiedendo di votare l’autorizzazione ad intervenire al fine di impedire al regime di commettere ulteriori massacri. I due paesi hanno quindi definito la penetrazione militare estera in termini di linea rossa. La più famosa linea rossa è stata però tracciata dal presidente americano, Barack Obama, in riferimento all’utilizzo di armi chimiche. Malgrado ciò, il regime ha continuato a farne uso in due luoghi accertati. In quella precisa occasione, gli Stati Uniti si sono mossi a difesa della loro “linea rossa” per poi rifornire il regime siriano con il proprio armamento chimico e contribuire così all’uccisione di altri siriani e della rivoluzione stessa.
Negli ultimi cinque anni il regime siriano ha disegnato diverse linee rosse, alcune di carattere geografico, tra cui il triangolo meridionale tra Quneitra, Daraa e le alture del Golan; la città di Aleppo, le basi missilistiche. Tra le altre, il regime ha definito linea rossa anche l’opposizione, pur non avendola riconosciuta tale per un lungo periodo, in quanto priva di un valore nazionale.
Di recente, questa sequenza di disegno e annullamento di linee rosse è stata accentuata da un altro evento: alcuni giorni fa, il ministro degli Esteri siriano, Walid Muallem, ha precisato che la permanenza del presidente è linea rossa e nessuno può discutere in merito. Tale linea rossa è stata cancellata successivamente comunicando la possibilità di anticipare le elezioni presidenziali qualora il popolo fosse d’accordo. E naturalmente, questo è ciò che vuole il popolo!
Ola Abbas è una scrittrice e giornalista siriana.
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