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La Siria e le sue note: intervista a Malek Jandali

di Martina Sabra (Qantara.de 13/09/2012). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

Malek Jandali è considerato uno dei più creativi e versatili musicisti del mondo arabo. Pianista e compositore, ha di recente attirato l’attenzione internazionale per il suo strenuo opporsi al regime di Assad. Martina Sabra ha incontrato l’artista nella sua città natale, in Germania…

Hai detto che ci avresti portato qualcosa di molto speciale per quest’intervista. Cos’è?

Già, ho un pezzo di quello che viene chiamato “shepshep” qui con me – la parte davanti di una piccola pantofola di gomma, tutta colorata. Questa pantofolina appartiene a un bambino che è riuscito a fuggire dalla Siria verso la Turchia ed è sopravvissuto malgrado i pesanti bombardamenti dell’esercito siriano. Alcuni studenti siriani me l’hanno portata a Toronto dopo aver visitato i campi dei rifugiati in Turchia. A un mio concerto ad Offenbach, qui in Germania, la pantofola è stata un articolo dell’asta di beneficenza organizzata per l’occasione. Il pubblico ha donato migliaia di euro: è la scarpa più costosa che io abbia mai visto! Non è Gucci, non è Armani, è libertà. Guardala – non è grandiosa?

Dall’età di sei anni, sei cresciuto nella città di Homs. Come sei riuscito, più di trent’anni fa, a studiare lì pianoforte?

In effetti non è stato facile trovare un insegnante di pianoforte all’epoca, non c’erano scuole di musica a Homs. Ma ce n’era uno eccellente al conservatorio Tchaikovsky di Damasco. Ogni giovedì viaggiavo da Homs a Damasco per due ore, facevo lezione al piano e tornavo a casa in pullman. Più tardi ho ottenuto una borsa di studio negli Stati Uniti e così…

Sei cresciuto sotto il regime del partito Baath e hai viaggiato tra Stati Uniti e Siria quando il Baath era ancora stabile. Sino a che punto hai interiorizzato l’ideologia baathista e come sei riuscito a scrollartela di dosso?

A dirla tutta, sei seduta davanti a un bugiardo professionista. Mentivo ogni mattina. Amavo Bashar al-Assad durante la mattinata e odiavo il sistema per tutto il pomeriggio. Ti obbligano a dire: “Sacrifico la mia anima e la mia vita ad Assad”, ogni giorno di scuola. Poi torni a casa e i tuoi genitori ti dicono che Assad non è affatto buono. Schizofrenia pura, e avviene mentre sei ancora un bambino. Arrivato negli Stati Uniti, mi ci sono voluti dieci anni buoni per ripulirmi l’anima, per imparare ad essere onesto e a dire la verità senza più mentire.

Molti famosi artisti arabi, penso alla cantante libanese Fairuz o al cantante siriano Sabah Fakhri, finora sono rimasti in silenzio riguardo la violenza del regime di Assad. A cosa è dovuto, secondo te?

Disgustoso. Questo regime ha applicato una strategia per fare il lavaggio del cervello, anche agli artisti. Così è riuscito a sottrarre l’umanità, la libertà, l’essenza dei sentimenti umani dal cuore delle persone. Un artista che non si schieri accanto ai bambini della Siria, in questo momento, non è un essere umano. Io li chiamo “la cassa di risonanza vuota” – stanno solo colpendola a vuoto dinanzi ai crimini del regime.

Credi che i musicisti qui in Germania e in Europa dovrebbero prendere una posizione chiara a favore della rivoluzione siriana?

Dobbiamo distinguere tra popoli e governi. Il mio album “Emessa”, che porta l’antico nome avuto in origine dalla città di Homs e che ho dedicato alla rivoluzione siriana, è stato registrato insieme alla Russian Philharmonic Orchestra. Per me vuol dire che il popolo russo è vicino al popolo siriano, e non sta col governo. Alcuni musicisti a Mosca hanno pianto quando abbiamo registrato il pezzo “Al-Qashush”. Per me, l’arte è un messaggio universale, la ricerca della bellezza e della verità.

Hai composto la sinfonia “Al-Qashush” nel 2011 dedicandola a Ibrahim Al-Qashush, un combattente di Hama che si è alzato tra la folla e ha intonato una canzone molto famosa contro Bashar al-Assad. Al-Qashush è stato brutalmente torturato, assassinato e mutilato, con tutta probabilità da scagnozzi assoldati dal regime. Cosa sappiamo di Al-Qashush? Ha davvero composto la canzone “Vattene, Bashar”?

Ogni rivoluzione ha la sua leggenda. La leggenda musicale della rivoluzione siriana è Ibrahim Al-Qashush. Per me, anche se era un combattente di Hama, è stato il primo vero artista siriano a rompere il muro di paura e segnare la strada per altri musicisti ed artisti – ha davvero acceso la miccia della rivoluzione culturale. Non è solo una rivoluzione legata alla libertà e ai diritti umani. E’ una rivoluzione culturale. Senza libertà, non c’è arte. Senza libertà, non c’è progresso.

Dopo la pubblicazione della sinfonia “Al-Qashush” nella primavera del 2011, i tuoi genitori sono stati presi di mira dalle bande del regime a Homs. L’appartamento svaligiato, entrambi hanno riportato brutte ferite. Come ti sei sentito quand’è successo? Hai mai pensato di non fare più affermazioni pubbliche contro il regime di Assad?

Quant’è stato difficile, devi credermi. Ti senti in colpa, inutile, debole. Un atto vergognoso, quello di picchiare mia madre e spezzarle i denti, in un periodo nel quale non potevano raggiungere me. Sono cittadino americano, non possono toccarmi dunque. Eppure è stato anche qualcosa che ci ha reso onore. Se questa è la libertà, l’amo fino alla morte, sono pronto anche a morire per lei.

Per alcuni, se anche Assad sparisse di scena, il popolo siriano non starebbe meglio, perché la Siria subirebbe un collasso sia sociale che geopolitico.

Ogni istante che si ritarda ad intervenire la situazione si fa più difficile, stiamo assistendo al collasso dell’umanità. Ma non voglio perdere la speranza. Sono convinto che possiamo costruire una nuova Siria, migliore. Il popolo siriano ha il potenziale per divenire una bellissima sinfonia fatta di tanti colori diversi. L’unica cosa che ora ci manca è il beat della libertà. Il territorio siriano è la culla di 10 mila anni di civiltà. L’alfabeto e la prima notazione musicale vennero alla luce a Ugarit, e anche l’inventore della Apple, Steve Jobs, ha a che fare con la Siria – suo padre biologico era un Jandali di Homs e cugino di mio padre. Non vogliamo avere a che fare con un cialtrone, uno di quei bugiardi che dice: “La vostra civiltà è solo 40 anni di Assad!”. Mettiamola in modo diverso: noi siamo già liberi. Non c’è punto di ritorno. Bashar al-Assad è un criminale di guerra che per i suoi crimini deve rispondere alla Corte Penale Internazionale.

Riesci ad essere creativo, con tutti gli orrori e le innumerevoli violenze in corso in Siria?

Siamo testimoni di notizie angoscianti ogni giorno, ma per il popolo siriano è un periodo di svolta storica e per me è un’immensa fonte di ispirazione. Stanno bombardando la gente in fila per le strade lungo le code per il pane: è orribile, ma ti ricorda il prezzo della libertà.

Qualche progetto in cantiere?

Il mio prossimo lavoro sarà una sinfonia siriana, con quattro movimenti, un’intera orchestra, quasi 60 minuti di musica. La maggior parte dei temi e dei motivi è presa dalle strade della Siria, dalla rivoluzione. Più in là mi piacerebbe farla conoscere ad orchestre più grandi e portarla in giro per il mondo. Considero mio dovere diffondere la nobiltà d’animo di questa rivoluzione in alcuni dei più rispettabili luoghi della Terra. Perché questo è ciò che l’arte è: soft power, potere di persuasione.