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La sfinge si risveglia

El País (11/09/12). Di Javier Valenzuela. Traduzione di Alessandra Cimarosti.

Nel 1956, con la nazionalizzazione del canale di Suez, Nasser riconsegnò all’Egitto il suo orgoglio nazionale, dopo essere stato per secoli prima una provincia ottomana e poi, una colonia britannica. Negli anni successivi, il Cairo fu la capitale del mondo arabo, un attore influente nella scena mondiale. Quel periodo però, senza dubbio, durò poco. Nel 1967, Israele sconfisse clamorosamente l’Egitto di Nasser. Nel 1978, il successore di Nasser, Sadat firmò, negli accordi di Camp David, la pace con lo stato ebraico e trasformò il suo paese in un vassallo degli Stati Uniti nel Medio Oriente. L’Egitto, da allora, vive una situazione complessa regionale ed internazionale.

La vita è imprevedibile: poche settimane fa, nessuno immaginava che Mohamed Morsi, vincitore, nel mese di giugno, delle prime elezioni presidenziali democratiche nella valle del Nilo, sarebbe stata la persona che avrebbe cambiato il copione. Morsi era visto come un tipo grigio, triste, mediocre, una “ruota di scorta” dei Fratelli Musulmani. Eppure Morsi è uno dei capi di Stato e di governo del mondo che ha goduto appieno dell’estate.

Con una serie di movimenti folgoranti, il fiammante rais si è sbarazzato della Giunta Militare guidata da Tantawi e ha delineato quella che sembra essere una nuova politica estera egiziana. Con tre visite consecutive, in Arabia Saudita, Iran e Cina ha inviato il seguente messaggio: l’Egitto vuole alzare la testa dopo l’imbarazzante sottomissione agli Stati Uniti, al tempo di Mubarak. Vuole recuperare il suo prestigio nel mondo arabo e musulmano, la sua condizione di attore regionale indipendente e guarda tanto il Levante asiatico quanto il Ponente euroamericano. Più difficile ancora, desidera fare ciò senza rompere con Washington, mettere a repentaglio la pace con Israele e inimicarsi l’Arabia Saudita. Ambizioso programma, senza dubbio, per una “ruota di scorta”.

È vero che come ricorda il quotidiano AlAhram, Morsi aveva promesso un “rinascimento” egiziano durante la sua campagna, ma nessuno ci aveva fatto troppo caso. E nemmeno lui sembrava aver le carte giuste. L’Egitto poi era indebolito da povertà e dal rovesciamento di Mubarak. Morsi ha già messo in atto la sua opera.

La sua visita di quattro ore in Iran è stata da dieci e lode. In un momento in cui Israele e Stati Uniti insistono sul fatto che il programma nucleare degli ayatollah viene messo a punto, Morsi si è piantato sulla cima dei paesi non allineati, a Teheran. Mai un leader egiziano aveva osato sfidare Washington, visitando la stigmatizzata Repubblica islamica fondata da Khomeini. Ma dopo che aveva proclamato in questo modo la sua libertà rispetto all’Occidente, Morsi ha tirato uno schiaffo al regime teocratico iraniano, proprio in casa. I media di Teheran hanno dovuto censurare l’allegato contro l’ “oppressivo” Bachar ElAssad e il favoreggiamento di Morsi per i ribelli siriani. E ricordiamolo, l’Iran è il grande alleato nella zona, della tirannia siriana.

Questo fu il secondo viaggio presidenziale di Morsi. Altamente significativo è stato il fatto che il primo viaggio ha avuto come destinazione l’Arabia Saudita. Si è trattato di tranquillizzare la sempre apprensiva Casa di Saud e perché no, di prendere i petrodollari. Anche se ci sono somiglianze tra l’ideologia dei Fratelli Musulmani e la versione wahabita dell’Islam dell’Arabia Saudita (entrambe sono integraliste sunnite), il regno petroliero preferiva vedere da lontano, seduto nella poltrona presidenziale del Cairo, il vecchio rais Mubarak.

A quanto pare però, Morsi è riuscito ad ottenere gli obiettivi preposti a Riad. Chiaramente non pretende di esportare alle autocratiche monarchie del Golfo né la rivoluzione democratica di piazza Tahrir, né il modello politico islamista dei Fratelli Musulmani, vincitori delle presidenziali egiziane. E nemmeno mettersi al fianco dell’Iran shiita contro gli sceicchi sunniti del petrolio. Ma ha bisogno dei suoi soldi.

Non è irragionevole affermare che i primi passi internazionali di Morsi sembrano voler mettere l’Egitto in un percorso simile a quello seguito dalla Turchia neo ottomana di Erdogan. Ma chiaramente, la Turchia corre più veloce dell’Egitto in questa strada.

Il terzo viaggio estivo di Morsi è stato in Cina. Un ereditario di Mubarak sarebbe subito andato a porgere i propri omaggi agli Stati Uniti, ma Morsi ha voluto dimostrare in questo modo che il suo Egitto è cosciente che l’egemonia mondiale viaggia nel Pacifico, in direzione Asia, dopo essere stata negli ultimi secoli in Europa e America. E con l’egemonia i soldi, logicamente. Morsi è tornato da Pechino con alcuni milioni con i quali irrigherà il deserto del Nilo.

Ma attenzione, prima di intraprendere questo tour, Morsi aveva ricevuto al Cairo, Leon Panetta e il segretario della Difesa nordamericano, ex-direttore della CIA, era tornato a Washington tranquillizzato riguardo alle intenzioni del nuovo potere egiziano. Ed infatti questa settimana sono ripresi gli aiuti economici statunitensi. Approfittando dell’attentato jihadista nel Sinai, Morsi ha anche inviato truppe in tale zona per lasciare intendere che l’avrebbe controllata e non avrebbe permesso di farla diventare una base per le azioni militari contro Israele.

Adesso, nel mese di settembre, Morsi andrà negli USA, il paese nel quale ha studiato ingegneria quando era un ragazzo. Pensa di aver dimostrato di non essere il “fantoccio” di Mubarak e desidera cambiare le alleanze dell’Egitto senza rompere con l’Occidente e con i paesi del Golfo e senza abolire il trattato di pace con Israele. Aspira ad un ruolo attivo nella zona, come il turco Erdogan. È significativo che abbia proposto una soluzione alla tragedia siriana, attraverso il rimpiazzo della tirannia degli Assad con la partecipazione della Turchia, dell’Arabia Saudita, dell’Iran e dell’Egitto. Un brindisi al sole che dimostra quali sono i giocatori che vuole vedere nel futuro della regione.

Dopo l’intervista con Morsi, Panetta aveva dichiarato, con tono di elogio, che Morsi gli aveva dato l’impressione di essere un uomo con grande personalità. Alla fine d’agosto, in un’intervista con Reuters, il nuovo rais aveva affermato “non siamo contro nessuno, però difenderemo i nostri interessi”.

La sfinge si risveglia.