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La politica del fumo nel Medio Oriente di oggi

Turchia fumo

Di Khaled Alaswad. Your Middle East (20/08/2016). Traduzione e sintesi di Emanuela Barbieri.

Tra tutti i divieti totalitari imposti da Daesh, quello del fumo è tra quelli che più evidenzia le dissonanze interne del gruppo.

Le numerose immagini dei falò che bruciano le sigarette e l’alcol sequestrati, condivise on-line dal gruppo stesso, dà un senso viscerale del controllo che l’autoproclamato califfato cerca di esercitare sulla popolazione locale. Le punizioni ufficiali per un’attività così empia, sulla base dell’interpretazione del gruppo della sharia, sono fustigazione, incarcerazione, addirittura esecuzione. I militanti di Daesh hanno arrestato recentemente più di 50 uomini che fumavano a Yarmouk. In Siria orientale, uno dei funzionari del gruppo stesso è stato decapitato con una sigaretta in bocca.

daesh divieto di fumare

Uno sguardo attento al califfato rivela tuttavia un quadro molto più complesso. Per i residenti locali e alcuni membri del gruppo più orientati al business, il contrabbando di sigarette in luoghi come Raqqa è diventato un lucroso (sebbene rischioso) modo di fare soldi. La domanda di sigarette esiste non solo a Raqqa, ma anche tra alcuni stessi membri di Daesh, che considera fumare haram (proibito) e una forma di “lento suicidio”. Dopo i guadagni iniziali nella provincia irachena di Kirkuk, i funzionari di Daesh, a fronte degli attacchi da parte delle forze di sicurezza irachene e dei loro alleati internazionali, sono stati costretti a ritrattare sul loro divieto di fumo e fare ammenda con la popolazione locale.

Quelli adottati da Daesh sono i metodi più estremi, ma il gruppo non è l’unico attore nella regione a prendere una linea dura sul tabacco. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è ben noto per la sua aggressiva campagna antifumo, portata avanti in prima persona come dimostrano le gallerie fotografiche di diversi siti web turchi. Erdogan ha persino invitato il ministro degli Esteri bulgaro Daniel Mitov a smettere di fumare durante la conferenza della NATO di luglio a Varsavia. Anche se apparentemente innocuo, questo comportamento aiuta a dimostrare l’ambizione di Erdogan di essere un “padre” per la nazione turca e riempire il vuoto lasciato dalla simbolica Mustafa Kemal Ataturk. In Turchia, per esempio, è considerata maleducazione fumare in presenza del proprio padre. Tuttavia, l’attuazione del divieto di fumo nel 2008 in Turchia non è andata a buon fine.

Turchia fumo

A quanto pare, convincere i mediorientali a smettere di fumare è una battaglia in salita. Tra il popolo turco, la povertà e le lotte economiche hanno solo aumentato i già alti tassi di consumo di tabacco. Sul piano culturale, a turchi, arabi e persiani piace fumare, e i narghilè sono un passatempo tradizionale particolarmente amato. Il quotidiano riformista iraniano Sharq, da parte sua, ha fatto scalpore il mese scorso modificando con photoshop una foto del defunto Ayatollah Mahmud Taleghani che teneva una sigaretta di mano.

Taleghani, una figura chiave nella rivoluzione iraniana del 1979, era un fumatore noto e imperturbabile; la foto in sé è famosa e immediatamente riconoscibile a molti in Iran. L’autocensura di Sharq è stata ampiamente criticata dagli utenti dei social media iraniani, anche se il redattore del giornale ha difeso la sua decisione. In Iran, la magistratura e altri funzionari possono forzatamente chiudere le testate per la pubblicazione di contenuti con cui si trovano in disaccordo e le pubblicazioni riformiste sono tenute al guinzaglio corto.

Stranamente, istituendo rigorosi ma mal applicati divieti di fumo, i governi del Medio Oriente (o quasi-governi, come Daesh) sono più in linea con la comunità internazionale per la salute che con le popolazioni locali. La distanza tra gli organismi di salute pubblica e la realtà sul terreno è stata messa in netto rilievo da un rapporto di giugno dal rappresentante della Siria dell’OMS, che implorava i siriani di astenersi dal fumo di sigarette. La dichiarazione ha lasciato sbalorditi entrambi gli osservatori locali e occidentali, in un momento in cui la Siria sta affrontando ben altri problemi.

Certamente, i governi del Medio Oriente non sono gli unici che lottano con le loro politiche di controllo del tabacco. La Commissione europea ha recentemente deciso di non rinnovare un accordo anti-traffico di lunga data con il gigante del tabacco Philip Morris, in parte per il timore di violare le regole enunciate dalla Convenzione del quadro dell’OMS sul controllo del tabacco (FCTC).

In Turchia, da sempre un importante canale per contrabbando tra Europa e Asia, Erdogan ha perseguito il suo zelo anti-fumo, con un aumento del 30% delle accise tabacco nel 2010, seguito da ulteriori aumenti su base annua. Il risultato? Un successo per il contrabbando, con un numero di sigarette illegali nel paese salito a picco da 3,9 miliardi nel 2007 a 16.2 miliardi di dollari nel 2013. Il governo turco, in ultima analisi, ha perso 9.5 miliardi di dollari in entrate fiscali per il commercio illegale di sigarette nell’arco di cinque anni.

Convincere i mediorientali a smettere di fumare, soprattutto quando tanti si affidano a sigarette e narghilè come sollievo dallo stress in un momento di fermento politico ed economico, sarebbe una sfida anche con politiche e strategie efficaci. Come la Turchia, Daesh, e l’Iran hanno dimostrato, paternalismo o brutalità sponsorizzata dallo stato non saranno mai efficaci alternative.

Khaled Alaswad è nato in Giordania. È consulente di gestione del rischio e lavora ad Abu Dhabi da 5 anni. Ha vissuto negli Stati Uniti dove ha conseguito la laurea in Scienze politiche.

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