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La morte del turismo

Di Mohamed Khairat. Egyptian Streets (16/02/2014). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Nel giorno in cui l’Egitto ospitava due importanti eventi internazionali volti a promuovere il turismo, il Campionato Internazionale di Taekwondo e la Coca-Cola Cup presso le Piramidi, un devastante attentato terroristico ha scosso la soleggiata Taba, località sul Mar Rosso, al confine tra Egitto e Israele, uccidendo tre turisti sudcoreani e l’autista, egiziano, dell’autobus.

Malgrado le turbolenze sociali e politiche vissute dall’Egitto negli ultimi tre anni, il Maro Rosso e il Sinai Meridionale sono stati dichiarati “porti sicuri” per i turisti dal governo cairota. Poco prima dell’attacco mortale, i media statali avevano dichiarato con orgoglio che migliaia di russi stavano prendendo il sole lungo la costa. Eppure, con certi hotel che a malapena raggiungono l’1% di occupazione, gli ultimi episodi sono suscettibili di influenzare in modo significativo l’industria del turismo nel Paese.

La morte del turismo. La frase, anche se potrebbe suonare pessimistica e dura, potrebbe non essere così lontana dalla realtà. Dagli attacchi spaventosi al Cairo che hanno distrutto il più importante museo al mondo di arte islamica, ai frequenti bombardamenti diretti verso le stazioni di sicurezza in tutto il Paese, il turismo era già sul punto di morire dissanguato. L’industria egiziana del turismo, come ha scritto un utente di Twitter, era clinicamente morta e le ultime violenze hanno solo staccato la spina.

È vero che in passato l’Egitto ha affrontato numerosi attentati terroristici, tra cui il massacro di Luxor nel 1997 e l’attentato all’Hotel Hilton di Taba, ma i recenti attacchi sono il simbolo di un Paese che lotta per ristabilire la legge e l’ordine. Nei decenni passati, il turismo si era ripreso velocemente da episodi terribili, ma oggi non è più così. Come riferito dal ministro del Turismo egiziano, Hisham Zaazou, si tratta di “città fantasma” che una volta erano i siti più visitati al mondo. La storia dell’Egitto è ora lasciata agli spettri.

“Ma l’Egitto è sicuro!”, ha detto un amico straniero che di recente è stato in Egitto. Per certi versi è vero: la violenza tende ad essere circoscritta, non tocca gran parte delle attrazioni turistiche più conosciute, né la quotidianità degli egiziani. Si può passeggiare tra i vicoli nascosti di Khan El-Khalili ed essere così immersi nella cultura e nella storia che si dimentica del sangue sparso nella stessa città. Si può stare all’ombra delle Grandi Piramidi di Giza o dei templi di Abu Simbel e non realizzare che questo è lo stesso Paese che ha avuto tre diversi presidenti in tre anni.

Possiamo dimenticare, ma ricorderemo per sempre. Nella nostra mente, nella sua profondità, camminando lungo la Corniche del Nilo o in un affollato mercato di Sharm el-Sheikh, quella vocina nella nostra testa, combinata con la copertura mediatica, ci dirà che dovremmo essere spaventati. E noi siamo spaventati. Non solo per via dei potenziali rischi che abbiamo di fronte, ma perché una civiltà tanto antica quanto quella egiziana è sull’orlo del deterioramento, si sta trasformando rapidamente in un luogo visitato solo da fantasmi.

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