L’Osservatore Romano (settimanale: 27/09/2018). «Una volta che il fanatismo ha incancrenito il cervello, la malattia è quasi incurabile». Esempi che confermano le parole di Voltaire non mancano, come un caso che sta suscitando un serrato dibattito nel mondo islamico. La discussione aperta su Sahih al-Bukhari, la fonte più importante dell’islam dopo il Corano, merita una riflessione. Sahih è la raccolta degli hadith (“detti”) del profeta e la base dell’ideologia della morte. Proprio questo legame tra il testo e la violenza sta suscitando perplessità e dubbi su testi considerati fino a ieri “sacri”.
Qualsiasi enciclopedia descrive Sahih al-Bukhari (“Sana raccolta” o “Raccolta corretta”) come un’attenta cernita compiuta tra circa seicentomila detti del profeta tutti considerati sommamente affidabili, tanto da far legge qualora non debbano cedere il passo al prioritario dettato coranico. Non solo: per i musulmani sunniti fa parte del credo ritenere questa raccolta di origine divina, nonostante sia stata realizzata quasi due secoli e mezzo dopo la morte di Maometto.
Una lettura attenta della biografia dell’imam Al-Bukhari sta rivelando gravi anomalie che metterebbero in dubbio non solo la veridicità di Sahih ma l’esistenza stessa di questa figura. Il confronto si è svolto soprattutto in rete e sui cosiddetti social.
C’è chi afferma che la prima prova della falsità di questa raccolta va cercata nel Corano stesso, dove si legge molte volte che Maometto altri non è che un uomo normale. L’unico miracolo riconosciuto è lo stesso Corano in quanto dettato da Dio. L’esatto contrario si legge negli hadith, dove Maometto è descritto come una figura santa, eroica, che compie regolarmente miracoli.
La leggenda ampiamente diffusa per quasi dodici secoli narra che Al-Bukhari sarebbe nato nell’810, circa duecento anni dopo la morte del profeta Maometto, e sarebbe riuscito nell’impresa sovrumana di raccogliere in circa sedici anni quasi seicentomila hadith, attribuendone al profeta duecentomila.
Basta un semplice calcolo matematico per concludere che seicentomila detti in sedici anni significa che Al-Bukhari ne avrebbe raccolti circa quattro all’ora, cioè uno ogni quarto d’ora per ventiquattr’ore al giorno, senza interruzioni. Supponendo che Al-Bukhari non abbia mai dormito, né mangiato, né lavorato per guadagnarsi da vivere.
A differenza del Corano, di cui esistono manoscritti fin dal tempo del terzo califfo Othman (574-656), su Sahih al-Bukhari non esiste documentazione scritta né da lui né dai suoi seguaci. Tra la morte di Al-Bukhari e l’apparizione dei primi scritti passano ben sei generazioni.
Tantissimi altri fatti mettono in dubbio l’autenticità di questo complesso testuale, come mostra il libro Sahih Al-Boukhari: fine di una leggenda dello studioso Rachid Aylal, di cui si trovano in rete ampi stralci tradotti, con le posizioni di studiosi e le reazioni dei lettori.
Aylal mette in dubbio la sacralità di Sahih Al-Bukhari e cita alcuni detti che contraddicono il Corano e talvolta sono addirittura “blasfemi”. La risposta dei fanatici era prevedibile: il libro di Aylal fa parte di un complotto per distruggere i pilastri dell’islam.