Di Taimur Khan. The National.ae (29/11/12). Traduzione e sintesi di Alessandra Cimarosti.
Nel periodo compreso tra l’escalation di violenze tra Hamas e Israele fino ad arrivare alla rivoluzione egiziana, il presidente Mohammed Morsi era emerso come un alleato chiave per gli Stati Uniti, nella mediazione per il cessate il fuoco.
Agli occhi dell’amministrazione statunitense, il governo islamista di Morsi aveva passato un primo importante test nell’impegno per la pace nel Medio Oriente. Ma con i sorprendenti decreti del presidente egiziano, adottati negli ultimi giorni, la luna di miele tra Washington e Cairo è finita.
“Più persone si riuniscono a piazza Tahrir e più è difficile per il presidente Obama appoggiare pubblicamente Morsi” afferma Tarek Masoud, professore associato alla Harvard Kennedy School of Government, “anche se l’amministrazione continua a pensare che è stato un alleato fondamentale per la soluzione del conflitto di Gaza”. Chiaramente Barack Obama non ha altra scelta se non quella di continuare con cautela, a sostenere il suo omologo egiziano. L’amministrazione statunitense esprime qualche preoccupazione, senza però denunciare Morsi; adotta piuttosto l’approccio “attendi e vedrai”. Secondo Isobel Coleman, membro del Consiglio delle Relazioni Estere che ha base a New York, “le transizioni sono disordinate, prendono molto tempo e ci sono alti e bassi” e questo Washington l’ha capito bene.
I decreti di Morsi hanno messo la Casa Bianca in una situazione scomoda e secondo alcuni analisti Morsi avrebbe utilizzato a suo favore gli elogi dell’amministrazione Obama per il ruolo pragmatico avuto dall’Egitto a Gaza. Malgrado tutto, ci si attendeva questa mossa drastica. I decreti sarebbero stati imminenti con o senza l’esplosione di violenze a Gaza. C’è una crescente preoccupazione a Washington, soprattutto tra i repubblicani. Il senatore John Mc Cain, nello scorso fine settimana, ha invitato Obama a condannare la mossa del presidente egiziano e a minacciare di ritirare gli aiuti. Secondo Coleman, “i Fratelli Musulmani utilizzeranno il processo democratico per accumulare potere e non lasciarlo mai”.
Indipendentemente dalle preoccupazioni riguardo alla traiettoria della transizione democratica, gli Stati Uniti possono fare ben poco per darle forma. Secondo Masoud, “non è possibile per gli Stati Uniti avere qualcosa di più di un’influenza marginale su ciò che accadrà in Egitto”. Gli Stati Uniti possono fare pressione su Morsi per quanto riguarda Israele, ma non possono far nulla nel grande processo di trasformazione democratica. Coleman sostiene che gli Usa possano esercitare una qualche forma di pressione, attraverso il Fondo Monetario Internazionale che stava per finanziare un prestito di 4.8 miliardi di dollari, prestito che sarebbe di fondamentale importanza per la fragile economia egiziana.
L’approccio statunitense “aspetta e vedrai”, secondo Masoud, si basa anche sulla mancanza di chiarezza riguardo a ciò che l’America vuole dall’Egitto. Membri dell’amministrazione Obama dicono di desiderare che l’Egitto diventi una democrazia liberale, ma poi perché “chiudono un occhio a tutti i tipi di pratiche antidemocratiche degli ultimi due anni?”. D’altra parte, aggiunge Masoud, se tutto ciò che l’America desidera dall’Egitto è che mantenga buone relazioni con Israele, potrebbe esser felice con una serie di disposizioni costituzionali. Masoud conclude affermando “penso che l’amministrazione è convinta che l’Egitto sia un grande e importante stato nel mondo arabo e che sia necessario avere buone relazioni con esso. L’obiettivo di raggiungimento di tali relazioni non è necessariamente chiaro”.
http://www.thenational.ae/news/world/middle-east/honeymoon-between-us-and-morsi-is-over
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