Di Naser Arribat. Al-Hayat (20/06/2017). Traduzione e sintesi di Federica Pretto.
Le rivoluzioni della “primavera araba” hanno alimentato in molti la speranza in un svolta guidata dalle nuove generazioni della gioventù araba. Questi giovani che hanno fatto esplodere le proteste in Tunisia, in Egitto, in Siria, in Libia, nello Yemen e in altri paesi, hanno offerto un’immagine nuova e dinamica delle potenzialità di un movimento di protesta nello stagnante mondo arabo attuale.
Oltre al fatto di appartenere all’era attuale, coi suoi nuovi strumenti tecnologici, questi giovani non hanno sofferto, contrariamente alle generazioni precedenti, delle continue sconfitte subite dai paesi arabi dopo la perdita della Palestina nel 1948. Elemento quest’ultimo che aveva provocato l’affievolirsi di ogni speranza per la libertà, il progresso e l’unità araba. Quando sono scesi in piazza, erano guidati dall’aspirazione di uscire da una realtà soffocata dalla tirannia e dalla corruzione. Hanno utilizzato internet e gli altri media in modo audace e geniale per consolidare la loro lotta e farla conoscere al mondo. Forse è per questo motivo che le rivolte arabe, costituite soprattutto da giovani, almeno per un breve periodo sono riuscite a smuovere i regimi totalitari, quando le generazioni precedenti non ce l’avevano fatta. Ma forse è anche il motivo per cui la maggior parte di esse ha fallito nel tentativo di trasformarsi da sollevamento contro il potere, in nuova base per la politica e per la società.
I manifestanti non possedevano molti altri mezzi oltre all’espressione dell’indignazione e alla protesta contro l’ingiustizia: i regimi avevano strappato alla vita sociale il suo cuore politico, attraverso una persecuzione continua dei partiti, le associazioni popolari e civili, la stampa libera e ogni pensiero critico, ovvero di tutto ciò che implicasse la partecipazione delle persone alle decisioni che avrebbero influenzato le loro vite, il loro futuro e il loro benessere.
Invece di una cultura politica da cui dipende lo sviluppo di un sentimento di appartenenza e partecipazione, i giovani hanno trovato la paura, l’intimidazione, la tirannia dei servizi di sicurezza e il culto del capo unico e del suo entourage. Invece della contribuzione ad una cultura della tolleranza, aperta a tutte le correnti e le convinzioni, i giovani hanno trovato, come unico mezzo a loro disposizione per opporsi alla dottrina del capo unico, la cultura religiosa salafista, tollerata dai regimi in quanto valvola di sfogo.
Ma la generazione dei giovani del XXI secolo si è distinta da quella precedente per le sue competenze nella comunicazione diretta col mondo e per una relativa libertà. Questi militanti e attivisti hanno rinunciato alla politica quando si sono scontrati con la persistente ferocia del potere e quando l’organizzazione e i piani di questi movimenti necessitavano di ripensamenti e ridefinizioni alla luce dei nuovi sviluppi.
Perché la politica ritorni a fondamento della vita e del sistema sociale, è necessario che tutti coloro che ancora sperano in una rinascita del movimento giovanile continuino a lavorare alacremente per questo obiettivo. L’organizzazione politica e la nascita di partiti e associazioni, nonostante ad alcuni possa sembrare una “vecchia mossa”, resta il solo mezzo, e il metodo più efficace, per fondare una cultura politica capace di affrontare i ladri delle rivoluzioni, coloro che oggi ci governano.
Naser Arribat è uno scrittore siriano e professore all’istituto di tecnologia del Massachussets.
I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu
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