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La Francia e la crisi della democrazia

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Il Paese esagonale ultimo avamposto della democrazia

Di Abd al-Rahman al-Rashid, Sharq al-Awsat (11/12/2018). Traduzione e sintesi di Mario Gaetano

Nonostante il governo francese abbia fatto ricorso a tutti i mezzi concessi in una democrazia per riportare la calma, persino il cambio di governo, i manifestanti non sembrano essere convinti che esso accetterà le loro richieste.
L’élite governante ritiene che dietro gli account fasulli che invitano i manifestanti alla violenza, ci siano i russi; i francesi, inoltre, non sembrano neppure disposti ad accettare le interferenze degli americani, nella fattispecie di Trump.
Due domande sorgono spontanee: i russi influenzano davvero le opinioni dei francesi? E ancora, è accettabile l’interferenza di Trump? Di sicuro un fatto è certo, pur non considerando il complotto informatico, il caos di questi giorni contrasta con i valori della democrazia e con il suo principio fondamentale secondo il quale, la maggioranza che vince le elezioni governa; violare il principio rappresentativo significherebbe violare la libertà d’espressione, che ovviamente garantisce il diritto di manifestare, ma pacificamente, qualunque atto di violenza non appartiene affatto ad esso.
La Francia è il Paese delle rivoluzioni ed è la piazza che elegge, a maggioranza, il governo rappresentativo, senza contare che quest’ultimo è il pilastro su cui si basano le democrazie occidentali. La rivolta di Parigi ha coinciso con un’altra battaglia che si sta svolgendo nel parlamento oltre la Manica, cioè la “Brexit”. La maggioranza degli inglesi ha votato per l’uscita dall’Unione europea, ma i politici temono che fare un passo del genere, possa inficiare gli interessi importanti dell’Inghilterra, dopotutto: vox populi vox dei .
Per tornare alla Francia, chi governa è Macron, il quale ha vinto con il 66 % dei voti, ma quasi centinaia di migliaia di manifestanti dei gilet gialli l’hanno costretto a ritirare il provvedimento che alza le tasse sui carburanti. I disordini però continuano e il paragone con il governo di Margaret Thatcher sembra appropriato. All’epoca dei fatti, l’ex primo ministro inglese impose una tassa di soggiorno, suscitando le proteste dei londinesi, la Thatcher disse: “Si elegge una volta sola, non ogni giorno, mi hanno eletto per decidere”. La sua caparbietà le è costato il suo “soggiorno” al numero 10 di Dowing Street.
Spostandoci negli Stati Uniti, l’ordinamento che vige lì, è quello presidenziale, il presidente degli Stati Uniti è meno soggetto ai terremoti politici, a patto però, che non commetta reati contro la costituzione o comunque reati sanzionati a norma di legge.
La ragion d’essere della democrazia sta nella tutela delle fasce più deboli o comunque che non sono abbastanza protette ossia: le minoranze religiose, etniche e le donne, rispetto all’élite governate. Oggi soprattutto, tali categorie non conoscono altro modo per far sentire la loro voce, che la piazza, che si organizza attraverso i social network, un mezzo di comunicazione, rispetto al quale, anche i grandi Paesi democratici iniziano a provare avversione.
La democrazia è dunque diventata un gioco aperto, ma costoso politicamente.

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