Di Ricard Gonzalez. El País (18/03/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Una semplice passeggiata per il centro della capitale è sufficiente per confermare la fama della Tunisia come Paese più laico del mondo arabo. I tratti identitari dell’islamismo più conservatore, come l’uso del velo integrale, non sono così frequenti come in altre capitali della regione. Tuttavia, per quanto il concetto di laicismo francese abbia attecchito nella società tunisina, in seguito alla sua lunga esperienza coloniale, non significa che il Paese sia libero dalla piaga del jihadismo.
Circa 3.000 tunisini si sono recati in Siria o Iraq per combattere nei rispettivi conflitti, secondo le cifre diffuse dalle autorità nazionali, e di questi circa l’80% si sarebbe unito ai ranghi dell’autoproclamato “Stato Islamico” o Daesh (ISIS).
Sorprende il fatto che la Tunisia, con 11 milioni di abitanti, è uno dei più grandi cantieri di Daesh. Per esempio, si stima che il numero di combattenti jihadisti marocchini si aggira intorno ai 1.500, nonostante questo Paese conti con una popolazione quattro volte più grande. I tentacoli del jihadismo si fanno sentire anche all’interno della Tunisia: lo scorso anno gli attentati perpetrati da questi gruppi hanno causato la morte di 23 guardie di sicurezza.
Secondo gli esperti, le ragioni che spiegano il fenomeno del jihadismo in Tunisia sono di diversa natura. In primo luogo, solo nell’ultimo anno e mezzo il governo ha posto al centro delle sue priorità la lotta contro le reti di reclutamento jihadiste. Inoltre, lo stabilirsi di gruppi estremisti nelle vicine Algeria e Libia, con le quali condivide frontiere porose, ha facilitato l’entrata di armi e di miliziani esperti. Questo flusso si è intensificato soprattutto dopo lo scoppio della guerra civile libica.
Alcuni analisti sostengono che Ansar al-Sharia sia il principale gruppo jihadista tunisino. Fondato nel 2011, il gruppo fu disciolto più di un anno dopo. Altri, però, confutano questa teoria: “Alcuni dei suoi membri si sono integrati in altre cellule jihadiste, ma non si può dire che sia il caso di tutti i 10.000 membri”, sostiene il ricercatore italiano Stefano Torelli. Ansar al-Sharia è accusato, tra le altre cose, di essere responsabile dell’attentato contro l’ambasciata statunitense nel settembre 2012. Il suo principale raggio di azione è situato nelle regioni al confine con l’Algeria, elemento che testimonia la sua stretta alleanza con Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI).
Non è facile misurare l’entità dell’appoggio sociale sul quale Ansar al-Sharia può contare. Ad ogni modo, gli analisti sono d’accordo sul fatto che, grazie al controllo che esso esercita su alcune moschee, non si tratta di un gruppo marginale. La sua ideologia è iscritta all’interno della corrente salafita, una branca ultraconservatrice dell’islam con diversi adepti in Tunisia, cosa che non permette di definire il suo sostegno. Va comunque ricordato che la maggior parte del salafismo tunisino è apolitico e che rifiuta l’uso della violenza.
Infine, un abisso ideologico separa il jihadismo dai leader dell’islamista Ennahda, il secondo partito più votato nelle recenti elezioni parlamentari e che fa parte della coalizione attualmente al governo in Tunisia. Lo scorso anno Ennahda ha svolto una ruolo centrale nell’approvazione della nuova Costituzione democratica del Paese che sancisce la separazione tra religione e Stato. Per questo, gli estremisti accusano il partito di aver abbandonato l’obiettivo di stabilire uno Stato islamico.
Paradossalmente, la vittoria del laicismo in Tunisia e la moderazione di Ennahda potrebbero aver contribuito alla radicalizzazione di alcune correnti tra le più conservatrici nel Paese.
Ricard González è un giornalista e politologo che si interessa della regione MENA.
[…] via Arabpress […]