“La disperazione è il nemico numero uno della democrazia”: questa la preoccupazione principale di Rached Ghannouchi, segretario generale del partito tunisino Ennahda, attore cardine della transizione politica della Tunisia, in visita a Roma la scorsa settimana.
Il modello democratico tunisino è ormai considerato dalla comunità internazionale, Europa in primis, come l’unico caso di successo di transizione democratica nel quadro delle rivolte che hanno attraversato il Mediterraneo a partire dal 2011.
Lo stesso Ghannouchi riconosce il successo del modello democratico tunisino, parlando di un “islam democratico che non va confuso con l’islam politico, come quello dei Fratelli Musulmani in Egitto o del partito Giustizia e Sviluppo in Turchia”, un modello che è la soluzione a qualsiasi forma di estremismo e fondamentalismo religioso. Un modello, però, non ancora completo, come sottolinea il leader di Ennahda.
Infatti, nonostante i grandi passi in avanti – Costituzione e tutela dei diritti, elezioni democratiche, dialogo nazionale – la Tunisia si piega di fronte a sfide cruciali per la sopravvivenza della neo-democrazia, prima su tutte la crisi economica, al contempo causa ed effetto delle principali problematiche del paese.
Garantire il diritto di protesta e di sciopero in un paese economicamente debole come la Tunisia, soprattutto nelle regioni più interne, non è abbastanza. Sono ancora tantissimi i giovani che, per disperazione, “commettono atti estremi”, come li ha definiti Ghannouchi, tra cui arruolarsi tra le fila di Daesh o affrontare la traversata del Mediterraneo pur di trovare un’alternativa alla vita nella loro terra.
A questi propositi, Ghannouchi non sembra avere alcuna proposta politica mirata a risolvere tali problematiche, né da un punto di vista nazionale né tantomeno regionale. Secondo il leader di Ennahda, sul piano politico la Tunisia ha raggiunto il giusto livello di consenso, non c’è rischio di ricadute. La soluzione è tutta di natura economica: attirare gli investimenti esteri e permettere uno sviluppo omogeneo del paese è l’unica strada da intraprendere per garantire la stabilità della Tunisia.
Quanto alla situazione regionale, Ghannouchi si mostra ottimista: “La primavera araba non è fallita”, afferma il politico tunisino, che crede fermamente che quanto iniziato nel 2011 è ancora in fase di sviluppo e continuerà ad evolvere, perché “i popoli hanno più coscienza e più fiducia in loro stessi, hanno assaporato il gusto della libertà e non ci rinunceranno”. Paesi come la Libia, la Siria, l’Iraq, e anche l’Egitto, hanno intrapreso lo stesso cammino, percorrendo strade diverse e più tortuose. “La Tunisia ha dimostrato che la democrazia è fattibile nel mondo arabo”, dice Ghannouchi, concludendo che si tratta di una questione di tempo, limitandosi a mettere in guardia l’Italia e la sponda Nord del Mediterraneo dalla minaccia costituita dall’instabilità della Libia.
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