Di Ricard González. El País (18/01/2015).
A ridosso della guerra in Iraq nel 2003, l’emittente televisiva satellitare Al-Jazeera raggiunse l’apice della popolarità e dell’influenza. Con un ambizioso dispiegamento di mezzi, il canale qatarense si propose di offrire un punto di vista diverso da quello presentato dalla stampa statunitense, assai controllata dal Pentagono. L’irruzione dell’emittente araba portò una ventata d’aria fresca nel panorama mediatico arabo ormai fossilizzato, pieno di televisioni e telegiornali che adulavano gli autocrati della regione. Tuttavia, intrappolata nel groviglio della Primavera Araba e disturbata da nuovi concorrenti, il suo prestigio e la sua influenza hanno cominciato ad appassire.
“Al-Jazeera ha perso lo status di medium di riferimento nel mondo arabo. Non è più capace di determinare la narrativa dei fatti. La sua inclinazione e i suoi numerosi errori hanno danneggiato la sua credibilità”, sostiene Rasha Abdullah, professoressa di Giornalismo e Comunicazione all’Università Americana del Cairo. Sebbene non ci siano dati ufficiali sulla sua audience nella regione, la percezione prevalente è che la sua popolarità è notevolmente diminuita. Ad eccezione della trasmissione delle partite di calcio europeo, è difficile oggi trovare un bar o un altro spazio pubblico al Cairo la cui televisione è sintonizzata su Al-Jazeera.
All’inizio, lo scoppio delle rivolte arabe è stato una benedizione per il conglomerato qatarense. Nessuno aveva una rete di responsabili nella regione così fitta come quella di Al-Jazeera per coprire un evento tanto inaspettato quanto spettacolare: la caduta a catena di vari dittatori arabi considerati intoccabili. La sua posizione favorevole alla tesi dei rivoluzionari coincideva con la posizione maggioritaria dell’opinione pubblica araba. Purtroppo, il sogno di democrazia e libertà si trasformò in un cammino accidentato, man mano che la lotta per il potere resuscitava vecchie ferite politiche e settarie e ne creava di nuove.
Dalla sua creazione nel 1966, l’emittente fu accusata di perseguire gli interessi della politica estera del Qatar. Non a caso è proprietà della famiglia reale del ricco emirato del Golfo. Tuttavia, è solo negli ultimi anni che queste critiche si sono fatte sentire. “La perdita di indipendenza e professionalità della rete è stata enorme. Ora si limita a diffondere la tesi dei Fratelli Musulmani, alleati del Qatar. Però, all’inizio, aveva rivoluzionato i media arabi in maniera molto positiva”, commenta la Abdullah. Il portavoce dell’emittente, Osama Saeed, nega queste accuse: “Diamo voce a tutti, anche alle figure di opposizione”.
Il ricercatore Georges Fahmi, del think tank Carnegie Endowment, con base a Beirut, fa una critica più sfumata: “Al-Jazeera si è vista intrappolata dalla polarizzazione tra islamisti e laici nel mondo arabo. Loro appoggiano gli islamisti e perciò hanno perso buona parte del loro pubblico”. E non solo il pubblico: a partire dal 2011, decine di suoi dipendenti hanno lasciato il canale per la sua marcata inclinazione e per la perdita di standard minimi di professionalità.
In nessun altro contesto la politicizzazione della rete è evidente come in Egitto. L’emiro del Qatar ha siglato una stretta alleanza con il leader islamista Mohamed Morsi. Dopo il colpo di Stato che lo ha deposto, Al-Jazeera si è convertita nel flagello delle nuove autorità militari, che hanno vietato tutte le emittenti del Paese. Il Cairo ha persino arrestato tre giornalisti del canale e li ha condannati a diversi anni di carcere per “collaborazione” con i Fratelli Musulmani, considerati organizzazione terrorista. Le condanne sono state viste come un regolamento di conti tra Egitto e Al-Jazeera.
Ad ogni modo, nelle ultime settimane l’emittente ha cambiato tono nel criticare il presidente egiziano El Sisi. Inoltre, ha sospeso la trasmissione della sua rete di informazione dedicata esclusivamente all’Egitto, come avevano chiesto le autorità. “Il fatto che questo cambiamento sia avvenuto subito dopo la riconciliazione tra i governi di Egitto e Qatar dimostra che la rete non è affatto indipendente: è solo uno strumento della politica esteriore qatarense”, sostiene Fahmi.
Ricard González è un giornalista e politologo che si interessa della regione MENA.
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