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La cultura dell’involuzione in nome del progresso

Abd al-Rahman al-Rashed (Al-Sharq al-Awsat – 10/09/2012). Traduzione Carlotta Caldonazzo

Gli abitanti di Riyadh, una delle città conservatrici per eccellenza, fino a qualche decennio fa erano più tolleranti di quanto non si possa immaginare. Teatri nelle scuole, cinema nei club, parate militari per le strade, feste popolari alle ricorrenze, arte. Lo stesso vale per il Cairo degli anni ’60-70, per il Kuwait di decenni fa o per Baghdad, che negli anni ’40 ospitava la Metro Goldwin Mayer. Per non parlare dell’involuzione che ha travolto la Tunisia. Insomma, i popoli sperano il meglio mentre percorrono il viale del tramonto.

In particolare in Egitto, dove dopo la defenestrazione di Mubarak si assiste a un “pessimo inizio” in termini di arte e creatività, malgrado due secoli di sviluppo. Un barlume di speranza è stato acceso dalla prontezza con cui il nuovo presidente Mohamed Morsi ha incontrato delegazioni di artisti nel tentativo di fermare gli attacchi che questi subiscono dagli integralisti. Un’affermazione di sostegno, in quanto presidente, all’arte e alla cultura. Ma riuscirà Morsi presidente a prendere il sopravvento su Morsi fratello musulmano? Chi garantirà l’incolumità e la libertà ad artisti e intellettuali difendendoli da gruppi di fanatici convinti di essere loro ad aver portato al potere Morsi e non viceversa?

Il problema di questi movimenti è la loro ferma convinzione sul fatto che la vittoria politica ed elettorale non si limiti a conferire loro il diritto di gestire un paese, ma sancisca il trionfo di una cultura su tutte le altre, il dominio assoluto di un sistema di pensiero. Un rischio enorme per le libertà e i diritti degli individui in quanto mina i principi fondamentali della convivenza. A rendere più sconcertante il pericolo di involuzione è che a farsene portatori sono gli stessi gruppi che hanno impugnato slogan ispirati ai diritti e alle libertà per abbattere dittature in piedi da decenni, senza interrogarsi a fondo sul loro significato. Il fatto stesso che movimenti conservatori si siano dichiarati fautori della democrazia indica che la società ha raggiunto un certo livello di maturità, ma è deludente constatare che messi alla prova questi movimenti non sono in grado di realizzare le loro proclamate istanze democratiche.

Si assiste dunque a una cultura dell’involuzione in nome del progresso, al rifiuto di un’ingiustizia finalizzato all’imposizione di un’altra ingiustizia. Un esempio fra tutti la Tunisia. Se Ben Ali aveva privato i suoi avversari politici dei loro diritti e delle loro libertà, ora diversi gruppi (quelli islamici radicali) si comportano in modo addirittura peggiore dei suoi sgherri. Un biglietto da visita pessimo, che tuttavia non deve annientare l’ottimismo: è iniziato un conflitto sociale, non un conflitto tra regimi, e la gente non accetterà di essere nuovamente spogliata della libertà.