Di Khalil al-Anani. Al-Arabi al-Jadid (24/02/2015). Traduzione e sintesi di Ismahan Hassen.
Ogni rivoluzione ha un suo autunno, ciò vale anche per le controrivoluzioni. Le ultime settimane hanno mostrato segni che indicano come le controrivoluzioni, che si sono sviluppate dopo l’ondata di proteste della cosiddetta “Primavera Araba”, siano attualmente in una situazione di crisi.
Gli eventi che hanno avuto luogo nel mondo arabo nel corso degli ultimi due anni ci mostrano sicuramente che la strada per il cambiamento è ancora lunga e difficile, ma che prosegue nonostante gli sforzi messi in atto per far abortire il cambiamento rivoluzionario.
Se da un lato, i cambiamenti che hanno avuto luogo nella regione non hanno funzionato in favore di coloro che effettivamente hanno tentato, e ancora tentano, di porre fine alla Primavera Araba, dall’altro questi cambiamenti, così come i giochi di alleanze e le modifiche delle strategie, si sono verificati nella regione spesso in ritardo. Nonostante ciò, i movimenti controrivoluzionari non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi nella regione, come l’eliminazione di qualsiasi richiesta di cambiamento e l’esclusione di partiti islamici dalla scena politica.
Nonostante sia comunque innegabile un calo della volontà di reclamare un cambiamento nell’area MENA, a causa dell’oppressione e della tirannia diventate dilaganti nella regione, e nonostante la mancanza di fiducia e di speranza tra la gente, esiste però ancora la consapevolezza che non c’è via d’uscita dal progetto rivoluzionario che è iniziato quattro anni fa e che gli sforzi che sono stati fatti fino ad ora non possono andare perduti.
Sebbene gli islamisti abbiano resistito bene ai tentativi di sradicarli dalla scena politica della regione, ora come ora ci troviamo a vivere in un contesto dove non c’è stabilità nei Paesi che sono stati colpiti dalla Primavera araba.
A questo proposito, ciò che è interessante notare è come il mondo occidentale veda adesso i regimi controrivoluzionari come un peso. Questo sentimento è evidente se si guarda a come l’Occidente si è rifiutato di rispondere positivamente alle richieste dell’Egitto, per quanto riguarda la situazione in Libia. Gli eventi che hanno avuto luogo nel corso delle ultime settimane, hanno poi rimescolato le carte nella regione, e spinto i partiti della controrivoluzione a rivalutare le loro posizioni e le loro relazioni gli con gli altri. Le relazioni tra il regime egiziano e alcuni dei suoi sostenitori nel Golfo, per esempio, non sono più come erano sino a qualche mese fa, soprattutto dopo le recenti rivelazioni che hanno messo in piazza il disprezzo che il generale Abdel Fatah El Sisi nutre per il Consiglio di Cooperazione del Golfo e per la sua enorme ricchezza. La lotta tra le forze rivoluzionarie e controrivoluzionarie sembra poi essere ancora più pronunciata se si guarda allo Yemen.
Quel che sta rendendo la regione ancora più instabile, è poi la sovrapposizione delle situazioni di questi paesi tra loro. Le situazioni in Siria, Yemen, Egitto e Libia infatti, non possono più essere considerati come incidenti isolati, bensì come eventi che hanno ripercussioni gli uni sugli altri.
Chi pensa che la battaglia o il conflitto tra rivoluzioni per la libertà e controrivoluzioni si possa risolvere con la prevaricazione di una parte a sfavore dell’altra, cade in un grave errore. Al contrario, il conflitto è invece entrato in una nuova fase, in cui la posta in gioco è quella di vincere la battaglia a favore delle aspirazioni del popolo, delle sue speranze e del suo desiderio di vivere in società basate sulla libertà, la giustizia e la dignità umana.
Khalil al-Anani è esperto accademico di movimenti islamici, di politica egiziana e di democratizzazione del Medio Oriente.