di Luana Khouri (Elaph – 13/01/2012). Traduzione di Silvia Di Cesare
Sembra che il Qatar rappresenti tra gli stati arabi il giocatore numero uno nella scacchiera della primavera araba. Egli ha rubato i riflettori alle forze mondiali e regionali, mutando la sua posizione da stato che protegge i popoli dai regimi a stato che ha degli obiettivi precisi che intende perseguire. Probabilmente esso è stato il paese che ha avuto maggiore importanza nella formazione delle alleanze che hanno dato vita ai movimenti islamici regionali, gli unici che stanno raccogliendo i frutti delle rivoluzioni arabe.
Con l’espansione delle rivoluzioni, dalla Libia alla Siria, è aumenta l’influenza del Qatar nella regione araba e si diffondono le notizie che riferiscono il trasferimento del Qatar delle sue forze militari dalla Libia alla Siria e il suo tentativo di far spostare la sede centrale della Lega Araba a Doha.
I pilastri del potere: i media, i soldi ed il denaro
Da Tunisi a Tripoli, passando per Damasco, il Qatar sta rafforzando la sua influenza utilizzando i vari mezzi economici, militari, diplomatici e mediatici a sua disposizione. Tuttavia il ruolo dell’emirato sta ora prendendo una nuova direzione, contrariamente a quanto dichiarato dall’emiro del Qatar in un’intervista resa al Financial Times nel ottobre 2010, in cui sottolineava che “ Noi abbiamo a cuore l’educazione, la salute e gli investimenti esterni e cerchiamo di stare lontani dalle battaglie militari. Cerchiamo sempre di mediare durante una crisi senza prendere posizione da una parte o dall’altra” . Queste dichiarazioni in realtà sono contraddette dai fatti, almeno secondo quanto dichiarato dal quotidiano “Le Figaro” nella sua edizione di giovedì scorso.
Dal punto di vista mediatico, il mutamento dei toni delle dichiarazioni dell’Emiro è diventata chiara e lo sviluppo di una nuova politica nazionale in merito alle situazioni della regione è messo in evidenza attraverso il ruolo del suo canale televisivo “Al Jazeera” il quale diffonde la paura nelle anime delle popolazioni arabe. L’autore dell’articolo del “Le Figaro”, George Malbrunot ha rivelato che un’eminente personalità araba ha riconosciuto la paura derivata dalle minacce lanciate dal canale televisivo qatariota.
Se grazie al suo canale televisivo il Qatar ha mutato la sua politica internazionale dall’utilizzo dei metodi morbidi all’adozione del pugno duro, militarmente lo stato qatariota sta pensando di ripetere in Siria quanto ha fatto in Libia: l’invio di armi ed esperti militari ai ribelli libici e l’appoggio completo alla loro rivoluzione, contributi che hanno reso vincente la lotta.
Per quanto riguarda l’aspetto economico, il Qatar non ha rinunciato ad utilizzare la diplomazia “del libretto degli assegni”. Un ufficiale marocchino ha riconosciuto che “ abbiamo chiuso molte volte la sede di Al Jazzera a Rabat, ma l’abbiamo puntualmente riaperta”, rivelando che l’emiro del Qatar ha recentemente acquistato un terreno con una superficie di 34 mila ettari, e ha investito 4 miliardi di dollari in un progetto turistico nella zona tra Rabat e Casablanca. Egli ha aggiunto: “Abbiamo bisogno del loro denaro”.
Militarmente non è nascosto a nessuno il ruolo cha ha avuto il Qatar nella rivoluzione libica, essendo stato l’unico stato degli Emirati Arabi Uniti a partecipare alla missione militare guidata dalla Nato e, mentre l’occidente era riluttante a fornire le armi ai ribelli, il Qatar iniziò spontaneamente ad addestrare le forze di opposizione inesperte e ad inviare, con il consenso delle forze di intelligence occidentali, almeno 20 tonnellate di armi ai combattenti libici.
“Le Figaro” afferma che le armi del Qatar destinate ai ribelli libici sono finite per la maggior parte ai gruppi islamici del paese attraverso attraverso un ospite del Qatar, lo sceicco “Ali Salaabi”.
Contemporaneamente alle armi, sacchi colmi di denaro raggiungevano le tribù libiche; mentre l’emirato, il cui esercito non conta più di 15 mila militari, inviava un mini esercito rivoluzionario di un migliaio di uomini a Tobruk e poi nel monte Nefoussa. Da allora in poi la voce silenziosa del cannone di Tripoli lascia ipotizzare una coalizione militare del Qatar con il territorio libico, nonostante i libici e l’occidente denuncino le continue ingerenze del Qatar.
Lo scrittore Malbrunot ha scoperto che il Qatar ha avviato recentemente una pericolosa operazione di recupero delle armi in Libia, per trasportarle in Siria, dove Doha non vede l’ora di ripetere “l’avventura della Libia”, creando una zona franca nei pressi della città di Idleb, anche a costo di far irritare i turchi.
La Rana e il bove
I comportamenti del Qatar all’interno della regione araba stanno facendo nascere molti timori tra i suoi partner, i quali iniziano a chiedersi “Cosa può succedere se la rana diventa più grande della mucca?”. A riguardo di ciò alcuni funzionari francesi si lamentano delle continue ingerenze dell’emirato che, affermano, “vuole mettere il naso in ogni affare”.
Secondo “Le Figaro” il presidente francese Sarkozy non ha esitato, nella riunione avuta con l’emiro qatariota lo scorso autunno, a manifestare l’irritazione francese verso le continue ingerenze del Qatar.
A sua volta il rappresentante della Libia alle nazioni unite Abel Rahman Shalgam teme che il Qatar rovini le ottime relazioni che esistono tra la Libia e Doha, lamentandosi delle continue ingerenze dello stato nelle questioni libiche. Shalgam ha dichiarato che “La follia del Qatar deriva dall’illusione di riuscire a “dominare” la regione ”.
Intanto,le tribù conservatrici qatariote, sollevano preoccupazioni riguardo alla politica estera della famiglia reale.L’articolo riporta una dichiarazione di un uomo d’affari del Qatar che afferma che “un certo numero di persone criticano l’Emiro del Qatar per la sua politica, e hanno paura di diventare dei bersagli dei paesi arabi che risultano riluttanti verso lo stato, compreso il Libano”.
D’altra parte, gli Stati Uniti si stanno opponendo ad ogni tentativo arabo di ridurre l’influenza del Qatar, sopratutto quelli che provengono dagli stati vicini a Doha, cellula militare americana. Ciò garantisce agli stati uniti il controllo della sicurezza del Qatar, alimentando e convinzioni dei funzionari arabi che vedono le sorti del paese legate ai voleri degli Stati Uniti.
Lo scrittore Ali Sabri ha dichiarato in un suo articolo che “ggi americani devono trovare un partner che funga da mediatore per affrontare la situazione post-rivoluzionaria dei paesi arabi, e anche per questioni al di fuori del mondo arabo, considerata la decisione dei talebani di aprire un ufficio a Doha al fine di negoziare con gli americani.
Pugno duro
Quali sono le cause del cambiamento della politica qatariota? Il giornalista francese del “Le Figarò” ha dichiarato che lo sceicco Yususf Ibn Jabr, uno stretto collaboratore del primo ministro Hamad Bin Jassim, ha detto che “In Libia Gheddafi stava uccidendo il suo popolo. La stessa cosa sta succedendo in Siria. Non potevamo rimanere a guardare. É però sbagliato dire che manipoliamo la Lega Araba e che stiamo diventando arroganti solo perché esprimiamo le nostre idee con forza“.
Tuttavia queste dichiarazioni non sono state accolte dai diplomatici arabi, che avvertono il tono provocatorio delle stesse. Un responsabile marocchino spiega che “ Alle riunioni della Lega Araba non vi è mai stata tanta violenza come quella che vi è ora nelle dichiarazioni del Qatar”, e racconta quello che è successo nella riunione di Rabat quando il primo ministro qatariota ha minacciato pubblicamente un delegato algerino, contrario alle sanzioni contro la Siria gridando “ Zitto!Voi sarete i prossimi della lista!”
Giocare con il fuoco
“Le Figaro” fornisce ulteriori dettagli, che potrebbero rappresentare degli specchi rivelatori delle intenzioni qatariote. L’emiro del Qatar ha inaugurato una moschea intitolata all’Imam Mohamed Abdel Wahab ( fondatore del movimento riformatore del Wahabismo, Ndr). L’evento coincide con un altro provvedimento rivolto alla”categoria più rigorosa dell’emirato del gas”, attraverso il divieto di vendita di alcolici nei ristoranti dell’isola artificiale “La Perla”, un progetto immobiliare con un costo di 20 miliardi di dollari costruito per ospitare la Coppa del Mondo dei mondiali di calcio del 2022.
Non c’è stata nessuna spiegazione ufficiale per questa decisione e ciò ha spinto gli osservatori a ipotizzare che dietro questo divieto imposto nella regione ci sia la consapevolezza che la maggior parte dei clienti saranno stranieri. Il diplomatico del Qatar ha giustificato questa decisione facendo riferimento a due aneddoti, il primo riguarderebbe un gruppo di persone che dopo aver bevuto molto sarebbero scesi dal loro Yacht in ambiti inappropriati, la seconda invece narra di uomini che vagavano per le strade vestiti da Santa Claus.
La realtà è che questi eventi riflettono le tendenze internazionali del Qatar, il quale si è trasformato nel più grande sostenitore dell’Islam politico in Medio Oriente e nel Maghreb, dove le formazioni islamiche sono uscite vittorioso dalle ultime elezioni tunisine, egiziane e marocchine. Lo stato qatariota non ha minimamente esitato a finanziare pubblicamente l’associazione palestinese Hamas , come fece con il partito “Al Nahda” in Tunisia e i Fratelli Musulmani in Egitto.
L’Emiro del Qatar ha dichiarato sul canale di Al Jazeera nel settembre scorso, che “ l’Islam radicale, che ha sviluppato il suo pensiero nell’era dei regimi autoritari, potrebbe far parte della nuova classe dirigente, se ciò soddisfarà le esigenze rivoluzionarie e le promesse di giustizia e democrazia”.
Le Figaro si chiede, però, se gli islamisti continueranno ad ascoltare i consigli dei loro amici di Doha quando eserciteranno effettivamente il potere.
Il direttore generale dell’ufficio del Qatar della fondazione “Brookings” sostiene che “ il Qatar è sicuro che il centro di gravità del mondo arabo si muove verso l’Islam radicale, e ha scoperto che al sua politica basata sul dialogo con gli islamisti e con in suoi seguaci è una politica redditizia”, e ha aggiunto che “oggi la politica vincente è quella che sostiene i governi di transizione, siano essi libici, egiziani o siriani, piuttosto che le politiche che si concentrano su posizioni prettamente ideologiche”.
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