Kobane vista da poeti, scrittori e artisti siriani

Syria Untold (15/10/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

In copertina, manifestanti a Homs (Siria) esprimono solidarietà verso la gente di Kobane (Fonte: Syria Untold)

La città di Kobane – occupata da Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) – è un tema caldo tra arabi e curdi. A partire dal nome, che se in curdo è appunto Kobane, in arabo diventa ‘Ayn al-Arab e alcuni dei nazionalisti arabi rifiutano di usare il nome curdo. La questione trascende il mero aspetto linguistico, ma la conquista della lingua è al centro della battaglia per la memoria storica in Siria, derubata da decenni di dittatura.

Oggi i curdi vogliono invertire il processo di arabizzazione di villaggi e città, iniziata con l’unione di Egitto e Siria (anni ’50) ed intensificatasi con l’arrivo del partito Ba’ath al potere (1963). Allo stesso modo i siriani vogliono restaurare la propria memoria, derubata da decenni in cui lo stesso Ba’ath ha rinominato spazi pubblici ed edifici.

“Non essendo io né curda né una nazionalista araba, non m’importa quale nome usiamo,” dice la poetessa siriana Khawla Dunia, “Ciò che conta è la perdita della città: che la si chiami Kobane o ‘Ayn al-Arab, i cuori bruciati dei siriani non ne avranno sollievo”.

Molti sul Web hanno commentato il coraggio delle donne di Kobane, dipingendole come simbolo di resistenza contro la tirannia. “Se Federico García Lorca fosse tra noi, scriverebbe una piéce dal titolo “Le Donne di Kobane”, ha detto lo scrittore siriano Nizar Nayouf. “Se fossi uomo, perderei la testa per qualunque donna di Kobane”, ha aggiunto l’artista siriana Kifah Ali Deeb.

Molti hanno fatto notare i doppi standard dell’attenzione e della solidarietà espressa a livello internazionale, mentre i massacri di siriani proseguono ogni giorno senza essere presi in considerazione. “Sono solidale con Kobane, ma non è la prima città sotto assedio in Siria,” ha sottolineato l’artista siriano Tammam Azzam.

“Le coraggiose donne curde combattenti non sono le prime a spingersi sul fronte della battaglia contro la tirannia in Siria. Lo hanno fatto anche coraggiose donne di Dara’a, Idlib, Homs e Aleppo – ma non hanno ricevuto alcuna attenzione da parte dei media”. L’affermazione dell’artista è sintomatica di una frustrazione molto diffusa verso una copertura da parte dei media sempre più selettiva in Siria.

“In tutta la nazione, i bambini continuano ad essere uccisi dai barili bomba gettati dal regime e dai massacri perpetrati da Daish,” continua l’artista, “E senza che questo infiammi alcuna reazione internazionale. Tutti meritano i diritti per i quali abbiamo manifestato, e la solidarietà deve includere tutti”.

Questo doppio standard è messo in luce da molti siriani nel mondo. “La solidarietà degli arabi verso Kobane è una fonte di ispirazione”, ha affermato lo scrittore siriano Delair Youssef, “ma ispira meno constatare che molti si mostrano solidali perché la città sta lottando contro Daish, mentre dimenticano le aree che stanno combattendo Assad”.

Forse la miglior sintesi della tragica piega presa dagli eventi e rappresentata da Kobane è il commento dello scrittore siro-curdo Daraa Abdallah: “La tragedia di Kobane è l’ennesimo episodio della tragedia sia del popolo curdo che del popolo siriano nel suo insieme”.

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