“Non esiste la scrittura senza il coraggio”: queste parole, dette con umiltà e senza eroismi di nessun genere ben riassumono la conferenza svoltosi ieri, martedì 5 aprile, nella sala Organi Collegiali dell’Università la Sapienza di Roma con lo scrittore siriano Khaled Khalifa. I due incontri romani, riuniti sotto il titolo “Parole dissidenti, dialoghi con lo scrittore siriano Khaled Khalifa”, sono solo una piccola fetta del tour che lo scrittore sta svolgendo in Italia, che ha visto coinvolte Venezia e Napoli e che terminerà con altri incontri a Firenze e a Milano.
La fatica che ho fatto per orientarmi nella città universitaria della Sapienza è stata completamente dimenticata non appena l’incontro è iniziato. Già dai primi interventi è emerso il valore e l’importanza che la testimonianza dello scrittore di Damasco ha per il suo paese e specialmente in un momento del genere. Non si sono, però, sprecate le critiche all’opportunismo dei poteri e dell’opinione critica. La professoressa Isabella Camera d’Afflitto, da anni voce rispettata e di spicco nel campo della letteratura araba, ha ricordato come solo cinque anni fa, nonostante la rivoluzione siriana fosse già iniziata, durante un incontro con l’autore organizzato dal Salone del Libro di Torino, ci fossero sì e no una trentina di persone ad assistere alla conferenza, al contrario di ieri, in cui l’aula era completamente piena e molte persone sono rimaste in piedi a causa della grande affluenza. L’unica cosa che è cambiata da allora, oltre al numero spaventoso di morti è l’allarmismo, completamente infondato, per “l’invasione” dei profughi siriani.
La parola è poi passata al presidente dell’organizzazione non governativa “Un ponte per…”, Martina Pignani Morano, che ha promosso quest’incontro, la quale ha ricordato come l’organizzazione stessa avesse a suo tempo scelto di non essere presente nell’area, per non appoggiare in alcun modo un governo dittatoriale come quello di Bashar al-Assad, mentre adesso si trova in prima linea nel sostegno ai siriani. Ha inoltre riconosciuto il merito di Khaled Khalifa, che attraverso il suo libro “Elogio dell’odio” è riuscito a rinfrescare la memoria troppo corta del mondo, ricordando le durissime repressioni degli anni ’80 avvenute i Siria.
Prima di dare la parola all’autore è intervenuta anche Paola Viviani, della Seconda Università di Napoli, grande conoscitrice delle opere dello scrittore, che ha voluto sottolineare la differenza tra la retorica del potere e ciò che emerge dalle opere di quegli scrittori che, come Khalifa, hanno deciso di lottare e resistere.
La conferenza è stata molto piacevole, anche grazie alla bravura e alla disinvoltura dell’interprete, oserei dire a tratti illuminante, sia per quanto riguarda la letteratura e il rapporto conflittuale che lo scrittore ha con la loro produzione, sia per quanto riguarda la situazione politica e la vita in Siria. Khaled Khalifa, infatti, dopo un periodo di studi in America, ritornerà a Damasco, a quella che definito la sua città e che non vuole sostituire con nessun’altra, tanto meno con una nuova patria. L’intellettuale, secondo Khalifa, non può e non deve tradire il suo sangue, il suo popolo, perché : “Una causa giusta, con una letteratura mediocre, fa sì che la causa perda” e lui non vuole che questo sia il caso del suo paese.
Lotta e scrittura, in questo periodo storico, sono costrette ad andare di pari passo e a sostenersi reciprocamente. Il suo messaggio di speranza nella fine del conflitto, per mano esclusivamente dei siriani, che potranno tornare, così, al loro paese, è emerso con estrema semplicità, come se fosse una cosa naturale, inevitabile e non un miracolo o un atto di eroismo. I cittadini dei paesi arabi che sono insorti e hanno fatto o stanno facendo la rivoluzione sono ben consapevoli del prezzo che stanno pagando e sono pronti ad assumerselo in pieno, finché il conflitto non cesserà.
Khaled Khalifa è riuscito anche a farci ridere, con battute più leggere riguardanti il suo processo di scrittura, le sue amicizie e i rapporti con le altre persone, che fanno capire come la vita, anche in una Siria martoriata, stia continuando.