Come penso ormai avrete capito, mi piacciono molto i romanzi che riescono a calarmi in una società, in un’epoca, vicina o lontana che sia. Trovo che abbiano una capacità maggiore di attivare la memoria, rispetto a saggi e libri di testo, perché giocano sui sentimenti e le sensazioni del lettore.
Leggere Khaled Khalifa mi ha permesso di vivere un momento abbastanza recente della storia siriana, realtà che devo ammettere, conoscevo poco.
Lo scrittore in questione è oggi uno dei simboli della resistenza siriana, si rifiuta di abbandonare il Paese, nonostante le minacce e un’aggressione che, nel 2012, gli è costata la frattura di una mano.
Il regime di Assad, però, non aveva capito che lo strumento dello scrittore non è solo la mano, ma la testa, il pensiero critico e quello non si può bloccare.
Pochissimi mesi prima dell’aggressione, lo scrittore aveva inviato una lettera rivolta a scrittori e giornalisti di tutto il mondo, in cui parlava della situazione siriana, chiedendo a amici e colleghi un solo favore: quello di diffondere questo suo messaggio, per permettere al mondo di conoscere ciò che stava accadendo nel suo Paese.
Nato ad Aleppo nel 1964, Khaled Khalifa è diventato famoso con il romanzo “Elogio dell’odio”, edito da Bompiani nel 2011, tradotto da Francesca Prevedello. È ambientato nella Siria degli anni ’80, in pieno conflitto tra il regime e alcune cellule fondamentaliste dei Fratelli Musulmani. Raccontato in prima persona attraverso gli occhi di una ragazza senza nome che cresce insieme alle zie. Una casa esclusivamente femminile, quindi, fatta eccezione per il servitore cieco, chaperon e consigliere della casa. Ripercorre 20 anni di storia siriana, seguendo la vita di queste donne, alcune votate alla causa, altre più restie, altre ancora collezionatrici maniacali di farfalle, nel tentativo di ordinare quel che resta della quotidianità.
Una quotidianità che nonostante i lutti e i cambiamenti continua, inesorabile e inarrestabile.
L’attualità di questo romanzo è, purtroppo, impressionante, ma ciò che più mi a conquistato è la mancanza di condanna, la volontà di non incriminare una fazione o l’altra. Vince il desiderio di pace, di fuga, di ricerca di sé stessi.
Per due volte Khaled Khalifa è arrivato tra i finalisti del Premio Internazionale della Narrativa Araba (Ipaf): la prima volta con questo romanzo nel 2008 e l’altra più recentemente, nel 2014, con “Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città”, inedito in italiano.
Anche questo romanzo parla della rivoluzione siriana, pur essendo ambientato in momento storico precedente e precisamente durante la salita al potere del partito Baath.
Un autore che lotta per la Siria, parlando di Siria, passata e presente, sperando un futuro diverso.
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